Ucraina, la guerra al tempo dei social tra schieramenti e ban

Ucraina, la guerra al tempo dei social tra schieramenti e ban
di Domenico Giordano
Martedì 8 Marzo 2022, 10:54 - Ultimo agg. 16:14
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Si può combattere una guerra in modi e su fronti diversi, senza bisogno di sparare un solo colpo, radere al suolo le città e la storia, senza che ragioneria del dolore ci riporti il totale del numero dei feriti e di morti.

Il conflitto in corso in Ucraina dopo l’invasione russa è il primo conflitto armato in una società pienamente globale e disintermediata, uno scontro che non ha solo confini e avamposti fisici, dove il fronte di guerra ha una dimensione immanente e immediatamente digitale e non c’è bisogno di vivere o andare a Mariupol, Dnipro, Kherson o Kiev per schierarsi apertamente al fianco del popolo ucraino.

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La Rete e le piattaforme social, soprattutto se utilizzate con una visione strategica, acquistano volente o nolente lo status di attori militari capaci di globalizzare il fronte e ottenere delle vittorie che rinsaldano il morale delle truppe, così come possono decidere straordinariamente non tanto le sorti finali, ma lo sviluppo in un modo o nell’altro del conflitto stesso.

L’account Twitter @Ukraine, profilo ufficiale dell’Ucraina che dall’inizio dell’invasione ha incremento la sua platea di follower di circa 1,5 milioni, la sera del 4 marzo ha pubblicato un tweet, peraltro coerente alla linea editoriale che porta avanti da settimane, di una valenza percettiva straordinaria.

A differenza di tante altre multinazionali, la Coca Cola aveva comunicato, poche ore prima, di non sospendere le attività di produzione e distribuzione in Russia, così la “rappresaglia” ucraina tutta impostata sulla reputazione del brand che ha coinvolto intelligentemente anche quella del suo maggior concorrente mondiale è stata fulminea: «Non si tratta più di gusto, ma di bene e male. @cocacola ha scelto quest'ultimo. @pepsi, è arrivato il momento del tuo contrattacco».

«Trovare alleati nell’opinione pubblica – scrivono Gianluca Comin e Gianluca Giansante in Tu puoi cambiare il mondo (Marsilio 2021) – fra i clienti, dipendenti per rafforzare il brand è sempre stato fondamentale.

Lo è ancora di più nella nuova reputation economy, dove con la crescente attenzione ai temi sociali, la reputazione può contribuire in modo decisivo al risultato dell’azienda».

Mentre in Ucraina si combatte una guerra di missili e bombe, per l’Ucraina è in atto una “global war” reputazionale che vede coinvolte quasi tutte le multinazionali e che porta in prima linea i manager e il loro ceo activism.

Così per superare le difficoltà di connessione a Internet, fondamentale per la difesa dell’Ucraina, il vice premier Mykhailo Fedorov si rivolge direttamente al Ceo di Tesla taggandolo nel tweet: «Mentre i tuoi razzi atterrano con successo dallo spazio, i razzi russi attaccano la popolazione civile ucraina! Ti chiediamo di fornire all'Ucraina stazioni Starlink». Detto fatto, Elon Musk sorprendentemente qualche ora dopo risponde direttamente: «Il servizio Starlink è ora attivo in Ucraina. Altri terminali sono in arrivo».


Così come le Big Tech, Apple, Microsoft, Meta, Twitter e Youtube sin dal primo giorno dell’invasione si sono preoccupate di non pagare dazio all’immobilismo passato e si sono preoccupate di informare i propri utenti delle iniziative adottate a sostegno del popolo ucraino e delle misure di contrasto contro la propaganda russa.

Twitter in particolare dal 26 febbraio ha sospeso le inserzioni a pagamento in Russia e Ucraina, mentre Meta dal 4 marzo tutti gli annunci destinati agli utenti in Russia e gli inserzionisti in Russia non saranno più in grado di creare o pubblicare annunci in qualsiasi parte del mondo, inclusa la Russia.

L’elenco delle società multinazionali che hanno sposato sin dalle prime ore dell’invasione la causa gialloblu, in alcuni casi per chiamata diretta a mezzo social del premier Zelens’kyj e del governo ucraino in altri per una scelta volontaria del board, è lunga e diversificata.

La Shell per bocca dell’amministratore delegato ha dichiarato la fine di «tutte le sue joint venture con la compagnia energetica russa Gazprom dopo l'invasione dell'Ucraina», mentre la Exxon Mobil che gestisce «il progetto Sakhalin-1 per conto di un consorzio internazionale di società giapponesi, indiane e russe. In risposta ai recenti eventi, stiamo avviando il processo per interrompere le operazioni e sviluppare misure per uscire dall'impresa Sakhalin-1».

Il colosso svedese dell’abbigliamento H&M Group, che in Russia ha 150 punti vendita, è «profondamente preoccupato per i tragici sviluppi in Ucraina e sostiene tutte le persone che stanno soffrendo» e per garantire la sicurezza dei dipendenti e dei clienti ha scelto di chiudere tutti i negozi e di sospendere anche la vendita online. Ma anche altri brand del brand tra i quali Burberry, Lvmh, proprietaria dei marchi Luis Vuitton, Dior e Bulgari ha chiuso tutte le 124 boutique in Russi e la stessa cosa hanno scelto di fare Hermès e Chanel.

Non di meno, restando sempre in Svezia, anche IKEA ha sospeso le attività e chiuso diversi punti vendita e tramite la Ikea Foundation ha annunciato una «donazione immediata di 20 milioni di euro per l'assistenza umanitaria a coloro che sono stati sfollati con la forza a causa del conflitto in Ucraina. Ciò è in risposta a un appello di emergenza dell'Unhcr, l'Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, a intensificare l'assistenza e la protezione alle persone colpite dal conflitto in Ucraina». 

Il mondo dell’automative neanche è rimasto a motori spenti e in diversa misura quasi tutti i marchi hanno scelto di lanciare un segnale chiaro, Toyota, Daimler, General Motors, Harley Davidson, Honda, Mazda, Mitsubishi, Ford, Volvo, Jaguar, Land Rover, Aston Martin, Rolls-Royce, Volkswagen. La BMW che solo nel 2021 ha consegnato in Russia circa 49.000 veicoli ha sospeso da inizio mese tutte le consegne, mentre Stellantis per bocca dell’amministratore Carlos Tavares nel condannare «la violenza e l’aggressione» ha anticipato «uno stanziamento di un milione di euro in aiuti umanitari a sostegno dei rifugiati e dei civili ucraini sfollati a causa della crisi».

A completare questo lungo elenco e a rispondere all’invito diretto del presidente ucraino, si aggiungono anche Visa e Mastercard che da sabato scorso hanno sospeso i loro sistemi di pagamento in Russia.

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