Se di mezzo non ci fosse l'immane tragedia di un conflitto che sta mietendo morte e distruzione, per confrontare la comunicazione di Volodymyr Zelensky e quella di Vladimir Putin, potremmo prendere in prestito la classificazione resa celebre dal molleggiato nazionale in Rockpolitik. Per Adriano Celentano il doppiopetto era lento mentre i blue jeans erano rock, il cannone era lento, invece i fiori restavano rock e volendo ancora oggi, dopo oltre quindici anni, utilizzare gli stessi criteri, è quasi scontato dire che il leader ucraino è decisamente rock e quello russo è lento, anzi lentissimo. Ma, come ampiamente sottolineato da più parti, questa è prima di tutto una guerra di comunicazione dove per vincere il nemico sul fronte mediale più del doppiopetto e dei cannoni di Putin c'è bisogno di essere rock, o meglio, aggiornando le categorie di Celentano alle buone prassi dell'infotainment, è opportuno essere anche pop. Tanto pop.
Invece, dallo scorso 24 febbraio, giorno dell'invasione dell'Ucraina, la Russia e il suo leader hanno scelto di alimentare senza grandi risultati l'altoforno della propaganda bellica, per dare credito alla versione dell'intervento militare teso a «denazificare» i territori ucraini.
Ecco che il presidente ucraino Zelensky ha immediatamente riposto nell'armadio la giacca e la cravatta e dalla mattina dell'invasione il suo abbigliamento, o come è tanto di moda dire adesso il suo outfit, si è adeguato al nuovo contesto: maglietta, pantaloni e giubbotto militari, al diavolo il viso e le gote perfettamente rasati per dare spazio a una barba incolta che raccontasse una quotidianità che da subito ha abbandonato il Palazzo per essere vissuta, «selfata» o ripresa accanto alle truppe, in strada senza paura apparente, in visita nelle città e aree più colpite dagli attacchi russi. Questa è stata la cornice narrativa che ha sorpreso e spiazzato Putin e i suoi generali, un racconto che si è snodato sempre in diretta social, la storia di un capitano coraggioso, di una leadership autentica, di un presidente che non abbandona il suo popolo, anzi che sa e vuole guidarlo in tempo di pace e parimenti nel momento più difficile come una guerra, che con il suo esempio infonde coraggio, che non ha nulla da nascondere e che soprattutto non si nasconde. L'abbigliamento e le scenografie che scandivano le giornate frenetiche di Zelensky stridevano in maniera fragorosa con quello che i video e le foto postate e condivise in Rete o sulle piattaforme social ci restituivano da Mosca dove ogni incontro di Putin, con i suoi generali, con i ministri o come i capi di Stato e di governi esterni in visita al Cremlino erano segnati sempre dal vuoto intorno al leader, da distanze così ampie da sembrare cuscinetti di vuoto protettivo.
A Kiev, Zelensky ha scelto di puntare, vincendo la sfida, sulla costruzione di una leadership empatica, emotiva, orizzontale, un primus inter pares, mentre a Mosca Putin, sbagliando strategia se pensiamo alla ratio disintermediata propria dei social network e della leadership digitali, si è presentato come un capo autoritario e inavvicinabile. La forbice dell'audience online tra i due leader, la rispettiva capacità di guadagnare like, follower e condivisioni da parte dei cittadini europei e occidentali in particolare si è allargata a dismisura. Così mentre l'account Twitter del presidente ucraino che ha saggiamente compreso di dover pubblicare prima in lingua inglese e poi in ucraino per avere prioritariamente l'attenzione internazionale cresceva passando da poco meno di 500 mila a oltre 6 milioni di follower, quello di Putin è invece cresciuto solo di 700 mila nuovi follower. La chiamata a sostegno della causa ucraina e la narrazione che Kiev stesse combattendo prima di tutto per difendere i valori universali della libertà e della democrazia hanno altresì spinto il presidente Zelensky a scegliere con cura anche il vocabolario con il quale ingaggiare le relazione internazionali: così molto spesso i singoli capi di Stato che quotidianamente sentiva in call o al telefono diventano nei post quotidiani friend, quindi amici sinceri del popolo e della causa ucraina, mentre, negli aggiornamenti sugli sviluppi dai teatri bellici l'esercito e la Russia erano sempre presentati come aggressori. La narrazione ucraina però non si è confinata solo ai post e ai social network, anzi, è riuscita a sfruttare appieno la forza virale della Rete. In poche settimane, infatti, sono stati messi online una serie di siti web finalizzati a raccogliere fondi a sostegno delle forze militari, sia con donazioni in monete ufficiali e sia con donazioni in criptovalute.