Ucraina, intervista a Mara Morini: «Putin ha rotto con l'Occidente, sanzioni inefficaci»

Ucraina, intervista a Mara Morini: «Putin ha rotto con l'Occidente, sanzioni inefficaci»
di Emiliano Caliendo
Venerdì 8 Aprile 2022, 18:25
8 Minuti di Lettura

Mara Morini è professoressa associata di Scienza politica all’Università di Genova dove insegna Politics of Eastern Europe e Politica comparata. Osservatrice elettorale dell’Osce-Odihr in Russia, Uzbekistan e Moldova, è coordinatrice dello Standing Group “Russia e spazio post-sovietico” della Società Italiana di Scienza Politica (SISP). Visiting Professor all’Accademia Diplomatica del Ministero degli Esteri della Federazione Russa e alla High School of Economics di Mosca, ha recentemente pubblicato un libro intitolato “La Russia di Putin” (edizioni il Mulino, 2020). 

Video

Professoressa Morini, a questo punto del conflitto, a seguito della ritirata dell’esercito russo da Kiev, quali sono secondo lei gli obiettivi politici e militari del presidente russo Vladimir Putin?
«L’obiettivo militare minimo è sicuramente quello di mantenere le posizioni ottenute nel territorio del Donbass ed eventualmente nella parte meridionale dell’Ucraina. Per cui la presa della città di Mariupol risulta fondamentale: capiremo presto se l’esercito russo riuscirà ad ottenere la piena occupazione della città. Sul piano politico è chiaro che Putin cercherà di fare in modo che questo territorio venga annesso alla Federazione Russia, proprio come accaduto per la Crimea nel 2014. E che di fatto questo non sia poi ritenuto ucraino, con tutto ciò che ne consegue dal punto di vista del riconoscimento internazionale. Ciò da un punto di vista politico è l’obiettivo minimo se riteniamo che quello massimo fosse l’occupazione dell’intera Ucraina e la destituzione di Zelensky, cosa che è evidentemente non è riuscita».

Il progetto di costituzione nei territori occupati di una nuova regione chiamata Novarossiya, che va dal Donbass fino a tutta la fascia costiera meridionale che affaccia sul Mar Nero, resuscitando l’omonima regione storica della Russia zarista, fa realmente parte dei piani di Putin?
«Direi che si tratti più una ricostruzione giornalistica non necessariamente attribuibile alla persona di Vladimir Putin. Che ci sia poi una discussione nell’ambito degli intellettuali russi su un’opzione del genere, potrebbe essere certamente verosimile. Bisogna tener conto dell’assetto amministrativo-federale della Federazione Russa: con una tale ipotesi continuerebbero a esistere le repubbliche di Crimea, Donetsk e Lugansk, ma come Oblast’ negli ultimi due casi non verrebbe più chiamato Donbass ma, includendo la Crimea, potrebbe essere considerata come la regione della Novarossiya. Servirebbe comunque molto tempo prima di attuare un progetto del genere».

L’opinione pubblica russa è a conoscenza dei rivolgimenti militare di questa guerra o ne è all’oscuro attraverso notizie edulcorate?
«È prevalentemente all’oscuro quella parte di popolazione che riceve informazioni principalmente dalla tv e dalla radio.

Ciò accade perché, com’è noto, in Russia è vietato parlare di guerra, di aggressione o di invasione. Questa situazione viene presentata come un’operazione militare speciale gestita dall’eroico esercito russo per salvare il popolo fraterno ucraino dall’ingerenza degli Stati Uniti e della Nato. Presentata come tale, questa narrazione trova terreno fertile in tutti coloro che possiedono uno storico sentimento antiamericano. Lo dimostrano anche i sondaggi: mentre lo scorso dicembre la fiducia nei confronti di Putin si assestava al 69%, qualche giorno fa è uscito un sondaggio del Levada Center che gli attribuisce un 83% dei consensi. Una percentuale che ricorda quella che Putin ebbe subito dopo l’annessione della Crimea. Discorso diverso per quella fascia di popolazione più giovane che, attraverso il sistema VPN, ha bypassato il blocco di internet, riuscendo ancora ad acquisire immagini e video su quanto sta accadendo. Pur non sostenendo Vladimir Putin, questi giovani non hanno però la possibilità di opporvisi in quanto sappiamo che rischiano da 3 a 15 anni di carcere. In altri casi potrebbero perdere il lavoro. Queste persone, quindi, si sono trovate di fronte a un bivio: o hanno lasciato la Russia; o sono rimaste in patria senza la possibilità di opporsi in maniera manifesta».

Un’opposizione organizzata al regime in vigore in Russia è quindi del tutto assente?
«È molto difficile parlare di qualcosa di organizzato nel contesto dell’opposizione extraparlamentare russa perché ci sono tantissimi movimenti che spesso agiscono singolarmente. Nemmeno Alexei Navalny era riuscito ad unirli. Il problema dell’opposizione extraparlamentare è che i suoi leader a volte si rivelano ambiziosi al punto da mettere l’interesse individuale davanti a quello collettivo, per cui non amano creare fusioni con altri movimenti o partiti. E correndo da soli alle elezioni non superano mai la soglia di sbarramento, restando fuori dal Parlamento. Si attivano in maniera sporadica, non organizzata, anche se tramite internet e i social media la mobilitazione risulta abbastanza immediata nel riunire le persone in strada. Ma da due settimane non assistiamo a grandi proteste proprio per via della legge che prevede il carcere per chi mette in discussione quella che viene descritta come un’operazione militare speciale».

Le sanzioni occidentali si stanno rivelando efficaci?
«Come sostengo dall’inizio di questo conflitto, non sono efficaci e non lo sono mai state storicamente. Non solo quelle nei confronti della Russia. Possono avere un effetto immediato dal punto di vista della reazione di chi è al potere ed eventualmente nell’opinione pubblica. Ma gli effetti reali si vedono nel medio-lungo periodo. Al momento non hanno prodotto nessun effetto nemmeno sugli oligarchi dal momento in cui si puntava al fatto che sanzionando gli oligarchi, questi ultimi avrebbero tentato di destituire o convincere Putin ad interrompere il conflitto. Ma il rapporto tra Putin e questa seconda generazione di oligarchi è tale per cui gli oligarchi non hanno il potere di esercitare pressioni sulla sua persona. Anche dal punto di vista dell’opinione pubblica, il racconto di file davanti ai negozi, come ai tempi della Perestrojka, è falso. C’è stato inizialmente un problema di distribuzione di alcuni alimenti ma è rientrato subito. Al momento sono aumentati di poche decine di rubli solo i prezzi di alcuni alimenti. Sempre secondo il sondaggio del Levada, oltre il 60% della popolazione afferma di non subire effetti particolarmente negativi dovuti alle sanzioni. Semmai queste sono un boomerang perché vengono percepite come un atto di guerra avviato dagli Stati Uniti nei confronti della Russia. Questo favorisce ancora di più la retorica e la narrazione di Putin».

A seguito del blocco sull’utilizzo dei conti correnti americani nei confronti della Russia, il pagamento in rubli dei titoli sul debito sovrano russo da parte del Cremlino può portare al default dal momento in cui era previsto solo in dollari?
«Il portavoce di Putin, Dmitrij Peskov, ha detto che teoricamente potrebbe anche essere possibile ma si tratterebbe di un default artificiale ovvero indotto dalle sanzioni americane e non dovuto allo Stato economico della Russia. Sono due cose da tenere separate. Le agenzie di rating potrebbero annunciare questo default tecnico più per una valutazione propria piuttosto che per una situazione peggiorata da un punto di vista economico. Pare ci sarà ancora un mese di tempo per pagare in dollari le cedole, a dispetto delle previsioni di un default entro marzo o i primi giorni del mese di aprile. Anche questa volta c’è stata una grande capacità di intervento immediato sulla politica economica da parte della governatrice della Banca Centrale russa Elvira Nabiullina».

Qual è il ruolo del partito al potere nella Federazione Russa, Russia Unita, nei territori occupati?
«Lo abbiamo visto in Parlamento quando ha presentato una proposta di legge che richiedeva il riconoscimento dell’indipendenza delle due repubbliche del Donbass. Poi si è adoperato per offrire un aiuto umanitario nei territori occupati, un’attività che rientra nella tipologia di informazioni che vengono diffuse sui media russi. Il Cremlino e i suoi mass-media tengono sì a sottolineare che c’è questa operazione militare speciale in corso per denazificare e demilitarizzare l’Ucraina; ma allo stesso tempo, l’obiettivo è quello di aiutare e difendere i russofoni. Per cui scatta la mobilitazione a difendere i russi che vivono in quel territorio, fornendo alimenti. Un risultato di immagine che conferma la costruzione della narrazione di Mosca».

Secondo lei è possibile un ritorno alle relazioni tra Italia e Russia così come lo erano prima del 24 febbraio?
«Molto dipenderà non tanto da un cambio di governo in Russia, piuttosto da un cambio di governo in Italia. Non perché possano andare al governo partiti filoputiniani, ma molto più semplicemente perché cambierebbero i soggetti che hanno interagito in questa fase con Putin. Il mio timore è che la Russia di Putin voglia chiudere con tutto l’Occidente, inclusi i membri dell’Unione Europea, non solo da un punto di vista politico ma anche economico sotto alcuni aspetti. Già da tempo Putin si è adoperato per avviare rapporti economico-finanziari con altri paesi come Cina e India. È vero che il rapporto con l’Italia è sempre stato definito come privilegiato per motivi storici, culturali e politici – vista la presenza del più grande partito comunista in Europa – ma adesso si tratterà di capire come si evolverà la questione del gas. E se ci saranno mosse da parte del Presidente del Consiglio Draghi o se vi saranno cambiamenti a partire dal 2023 nell’ottica di un recupero del dialogo con la Russia. Al momento non è così perché l’Italia è allineata all’Unione Europea in direzione opposta. Ovviamente se si perverrà ad una pace, seppure sarà richiesto molto tempo, sarà possibile un ripristino delle relazioni. Se il conflitto invece dovesse peggiorare, provocando altri morti con situazioni a svantaggio del presidente ucraino Zelensky, non è detto che questo tipo di rapporto si possa recuperare. Senza dimenticare che attualmente siamo considerati Paese ostile».

Un regime change in Russia è un obiettivo perseguito dall’amministrazione Usa?
«Sì, è l’obiettivo principale della politica estera statunitense in questo momento. Secondo la quale più durerà questo conflitto, maggiori saranno le possibilità che Putin venga destituito o che comunque perda in qualche modo il suo potere. Negli Stati Uniti si pensa che l’Ucraina potrebbe tramutarsi in un secondo Afghanistan. Personalmente ritengo Putin ancora saldo al potere, seppur all’inizio non ci sia stata una condivisione assoluta sull’invasione in Ucraina da parte di tutte le fazioni all’interno del Cremlino che si sono però subito riallineate e compattate». 

© RIPRODUZIONE RISERVATA