Ucraina, Parisi: «Così ci schieriamo nel conflitto armato ma ai russi va inviato un segnale chiaro»

Ucraina, Parisi: «Così ci schieriamo nel conflitto armato ma ai russi va inviato un segnale chiaro»
di Adolfo Pappalardo
Martedì 1 Marzo 2022, 09:48 - Ultimo agg. 11:33
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«Serviva decidere», spiega Arturo Parisi, ex ministro della Difesa del secondo governo Prodi. E nel 2014, quando abbiamo fornito armi ai curdi fece presente come si diventava belligeranti. Come in questo caso, quindi.

C'è il decreto per le armi all'Ucraina: l'Italia diventa a tutti gli effetti un Paese belligerante?
«Belligerante? Come parlare di bellum se lo stesso Putin, che è arrivato ad evocare l'arma nucleare, prova a chiamare quella in corso non una guerra ma una operazione militare speciale? Come belligerare contro una Russia che combatte sempre più dappertutto e da nessuna parte? Un Paese che dal Donbass alla Siria passando per la Crimea, e ora in Africa, dalla Libia al Mali, oltre che nelle guerre ibride fa a gara nell'indossare i panni di milizie private come il Gruppo Wagner quasi fosse una qualsiasi Mondialpol?»

Se belligerante è un termine fuorviante, come definirebbe dunque la nostra posizione?
«Di certo questa decisione come peraltro quelle relative alle sanzioni e alla stessa inibizione dello spazio aereo sono un chiaro prendere parte dentro un confronto armato.

Decisioni forti da assumere perciò, anche se nei tempi i più stretti possibili, con il massimo rispetto delle forme e delle procedure previste dalla legge, portando la scelta in Parlamento come rappresentante della sovranità popolare. Di fronte ad una evidente aggressione armata e a una trasgressione della Carta dell'Onu, una scelta aperta a prevedibili sviluppi militari ha necessità di radicarsi nella partecipazione consapevole di ogni cittadino nel quadro delle istituzioni democratiche. Queste sono occasioni nelle quali le democrazie crescono o muoiono. Che si decida di affidare l'esecuzione ai soli militari nel quadro di organizzazioni internazionali ognuno deve sapere che può essere chiamato personalmente a fare duri sacrifici ed ad esporsi al pericolo. È perciò necessario che la scelta non sia delegata alla leggera agli specialisti di turno o a organi lontani, e ancor meno intestata ai sondaggi o alle piazze. Come se non ci bastassero i precedenti da quelli lontani alla recente avventura libica».

L'Italia e la Ue potevano mettere in campo altro?
«Di certo non possiamo limitarci a far tifo come se assistessimo sugli schermi tv ad una partita Russia-Ucraina. Con tutta la gradualità necessaria e pensando al futuro, ripeto, nel rispetto delle norme, ma tuttavia con una determinazione evidente dobbiamo mandare alla Russia un segnale inequivoco perché desista dall'invasione e liberi l'Ucraina. Non un semplice no alla guerra che mette sullo stesso piano aggressori e aggrediti».

Ora il tono del conflitto si potrebbe alzare? Rischiamo attacchi da parte della Russia?
«Che lo scontro possa alzarsi è fuori discussione e altrettanto che Putin attaccherà dove pensa di poter cogliere il massimo del risultato col minimo del rischio. Quanto a noi come non immaginare che il suo primo obiettivo è quello di dividere il fronte opposto, a cominciare dai Paesi che al loro interno sono e sono stati già divisi sull'atteggiamento da tenere nei suoi confronti? Ecco perché, più che mai, abbiamo bisogno di prendere decisioni che tengano nel tempo grazie alla massima unità raggiunta con la massima partecipazione».

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Come evolverà secondo lei questo conflitto?
«Mi sembra molto molto difficile che il primo tempo possa vincerlo l'Ucraina. Senza dimenticare mai che il campionato per il potere globale non finisce mai, è tuttavia ancora più difficile immaginare oggi che questa partita la vinca la Russia. Un disastro sulle cui conseguenze per il popolo russo dobbiamo, già oggi, cominciare a ragionare preparandoci a farcene carico. Prima che altri lo mettano a frutto contro di noi. Cominciando inevitabilmente col riflettere sulle nostre azioni ed omissioni successive all'89».

Non si è sottovalutato il pericolo e ciò che è avvenuto?
«È fuori di ogni dubbio. Abbiamo preso per falsi gli avvertimenti dell'intelligence americana che puntavano ad allarmarci, e per vere le rassicurazioni finali di Putin che puntavano a rilassarci».

Cosa si attende dai primi colloqui in Bielorussia?
«Mi consenta di non rispondere. Per il rispetto, la simpatia e la solidarietà che dobbiamo a chi parla a nome del popolo ucraino ora sotto il tallone russo. Che cosa potrei dire di fronte ad un negoziato che si svolge in un Paese come la Bielorussia di Lukanka suddito della Russia, un Paese dal quale sono partite una parte delle forze d'invasione. Riascolto con Quasimodo il Salmo di Isaia quando dall'esilio degli Ebrei in Babilonia si chiede e come potevamo noi trattare con il piede straniero sopra il cuore?».

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