Ucraina, la crisi umanitaria alla frontiera di Medyka tra solidarietà e rischi per i rifugiati

- Foto di Pasquale Gargano
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di Emiliano Caliendo
Lunedì 21 Marzo 2022, 14:27 - Ultimo agg. 22 Marzo, 15:31
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Medyka, cittadina del Sud-Est polacco al confine con l’Ucraina. Uno dei sette valichi di frontiera attraverso cui sono passati buona parte dei 3,2 milioni di profughi di guerra arrivati in Europa, secondo una stima dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati. Due milioni di questi sono attualmente presenti nella sola Polonia. Un crocevia di migliaia di persone, perlopiù anziani, donne, disabili e una marea umana di bambini in fuga dai bombardamenti russi e dagli orrori della guerra. Per i rifugiati ucraini il valico che dalla periferia del villaggio di Shenyini in Ucraina porta a Medyka, ha la sua prima tappa nell’edificio squadrato adibito al controllo dei passaporti. Esplicato quest’ultimo, si oltrepassa una cancellata verde che sbocca su un sentiero rettilineo ai cui lati vi sono decine di stand di associazioni e organizzazioni che offrono assistenza ma soprattutto cibo ai rifugiati. Lì si viene accolti dai volontari da tutto il mondo, appartenenti alle realtà della solidarietà più disparate. In prima linea ci sono i ragazzi della Croce Rossa polacca. «Il campo è meglio organizzato rispetto ai primi giorni, ognuno sa qual è il suo compito. Offriamo cibo a chi arriva, ai bambini in particolare doniamo dei biscotti. Per le cure mediche nel campo ci sono medici da ogni parte del globo», dice Lisa, ventenne ucraina ma studentessa universitaria in Polonia. La lista delle organizzazioni presenti è lunghissima: l’Unhcr, l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (IOM), l’Ong indiana Humanity First, Pompiers Humanitaires français (associazione costituita da pompieri ed infermieri francesi), Savauteurs Sans Frontiers, i nazionalisti polacchi dell’associazione Marcia per l’Indipendenza ed il Nuovo Stato Federale Cinese, movimento politico d’opposizione al Partito comunista cinese impegnato nel sociale. C’è il mondo a Medyka. «Purtroppo, vediamo che non c'è stata una diminuzione del numero di arrivi da questo passaggio alla frontiera. Solo ieri sono arrivate oltre 6.000 persone, la maggior parte delle quali ha continuato il suo viaggio altrove in Polonia o in Europa», spiega Jorge Galindo, responsabile della comunicazione dell’Organizzazione Internazionale per le migrazioni. «Sappiamo – aggiunge - che finora ci sono stati oltre due milioni di cittadini ucraini che di paesi terzi, 85mila circa, arrivati ​​in Polonia. I numeri variano ogni giorno a seconda dell’ora». L’Iom fornisce supporto alle persone che arrivano al suo punto di accoglienza, fornendo loro cibo e coperte «perché qui le temperature sono spesso sotto lo zero», spiega Jorge. Ma svolge anche un lavoro informativo sui servizi a cui hanno accesso i profughi. Un altro punto di accoglienza dell’IOM si trova a Budomierz, sempre in Polonia. «Serve un maggiore coordinamento tra le varie organizzazioni presenti, un mio collega sta partecipando in questo momento ad una riunione con gli altri responsabili. Dobbiamo unire le forze con la consapevolezza che il lavoro di ogni agenzia o organizzazione può aiutare nell’alleviare le sofferenze delle persone che fuggono dalla guerra in Ucraina», fa sapere Galindo. 

La costante di snodi fondamentali come Medyka, o della vicina Przemysl, è la presenza di persone provenienti da ogni angolo d’Europa con dei cartelli in lingua ucraina e inglese, che indicano la disponibilità di posti auto o bus, oltre che la meta di destinazione. «Siamo venuti qui a portare beni con due pulmini, uno di un oratorio, l’altro di un privato, cercando di portare con noi qualche persona al ritorno. Abbiamo a disposizione dodici posti, al momento ne abbiamo recuperati già sei», afferma Cecilia da Milano. Gli italiani, così come i tedeschi e gli spagnoli, che hanno organizzato viaggi della speranza, sono numerosi. Qualcuno viene anche dalla Campania: «Abbiamo portato gli aiuti umanitari a Rzeszow ad un gruppo di volontari coordinati dall’amministrazione di Leopoli (principale città dell’Ucraina occidentale). Adesso cercheremo di portare con noi 49 rifugiati. Li trasferiremo ad Aversa dove ci sarà la Caritas diocesana a fornirgli una sistemazione, provvedendo alla parte burocratica», racconta Taras, volontario italo-ucraino. Ma durante una guerra, si sa, non si possono fare piani: «Partiremo purtroppo con sei persone in meno bloccate a Mariupol da uno dei checkpoint delle forze russe che stanno bloccando i corridoi umanitari». Filippo Sala, insegnante di Modena alla guida di un furgone con la bandiera della pace, stracolmo di medicinali e di attrezzatura medica specifica, racconta di essere al secondo viaggio: «Saremo in viaggio di nuovo tra cinque giorni con l’Hesperia Hospital di Modena». Filippo è un volontario del comune di Formigine, in provincia di Modena, che ha già accolto 50 ucraini, tra cui una bambina che dovrà sottoporsi ad un intervento cardiaco in Italia. «I primi giorni qui era come l’Apocalisse, adesso c’è solo la rassegnazione che questa cosa è destinata a durare a lungo il che è pure peggio» aggiunge con amarezza. 

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Una donna con la madre in carrozzella si dirige verso la strada alla fine del corridoio di bancarelle di viveri, dove ad attenderla c’è un autobus già pieno. Nessun controllo, nessun biglietto. Una sola fermata: l’Humanitarian Aid Center di Przemysl, collocato in un ex centro commerciale. Tappa obbligata dei rifugiati per registrare l’entrata in Unione Europea, comunicando il luogo in cui si è diretti. Ma a registrarsi, nelle tende all’esterno della struttura, non c’è solo chi scappa dall’Ucraina ma anche i volontari e gli autisti. Fondamentali questi ultimi perché da alcuni giorni senza la registrazione che avviene attraverso la compilazione di un modulo in cui si forniscono i propri dati su un sito governativo polacco, i bus carichi di profughi non possono partire. Nel parcheggio antistante il Centro, sono infatti tantissimi i mezzi con destinazione Germania, Francia e Italia. Alessandro Dalla Pozza, fotografo, giunto in Polonia come volontario e con alle spalle una passata esperienza sulla rotta migratoria balcanica, denuncia la mancanza di una regia organizzativa governativa, o comunque europea, che possa garantire una sistemazione ai rifugiati: «Molti hanno già una destinazione, altri non sanno dove andare. I rifugiati arrivano qui e si trovano tantissime persone con cartelli con su scritto la città di destinazione». Sì, perché per i rifugiati, già traumatizzati dalla guerra, «è complicato prendere una decisione dopo due ore di trafila lunghissima e un viaggio estenuante». Alessandro spiega che lo smistamento è su base volontaria per cui gli interpreti delle varie realtà svolgono un ruolo fondamentale ma dovrebbero creare una maggiore empatia con queste persone fornendogli tutte le informazioni necessarie. Altrimenti, ecco il rischio: «Si ha la fretta di liberare velocemente il Centro dato l’afflusso di persone. Per cui, a volte, queste persone non sanno se nella città in cui sono diretti ci sarà la garanzia di un alloggio. L’attività che sto svolgendo qui è per realtà, come ad esempio il comune di Torino, che hanno la sicurezza di fornire il posto letto. D’altro canto, sto ricevendo notizie che a Vicenza, dove vivo, molti profughi stanno dormendo in auto». Uno dei pericoli che aleggia nelle chiacchierate tra i volontari e nei pensieri di chi scappa dalle bombe è che nella macchina dell’accoglienza si inseriscano malintenzionati e trafficanti di essere umani, specialmente di minori. Non è un caso che negli ultimi giorni sia aumentata la presenza di polizia e militari che coadiuvano e garantiscono la sicurezza durante tutte le fasi di assistenza. Inoltre, il governo polacco ha approvato un emendamento che innalza la pena minima per la tratta di esseri umani da 3 a 10 anni e la pena detentiva massima per la tratta sessuale di bambini da 10 a 25 anni.

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