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Ucraina-Russia, dalla neutralità al Donbass: oggi trattano i ministri e Zelensky apre a compromessi

Ucraina-Russia, dalla neutralità al Donbass: oggi trattano i ministri. Zelensky: sì a compromessi
Ucraina-Russia, dalla neutralità al Donbass: oggi trattano i ministri. Zelensky: sì a compromessi
di Marco Ventura
Articolo riservato agli abbonati
Giovedì 10 Marzo 2022, 07:00 - Ultimo agg. : 11:10
4 Minuti di Lettura

Putin non vuole parlare con Zelensky. Ma il presidente ucraino, dal suo bunker a Kiev, mentre definisce «un bluff» le minacce nucleari di Mosca e avverte che è serio il pericolo russo per Polonia e Paesi baltici, ripete d’essere pronto «a compromessi ma senza tradire il mio popolo», e che «possiamo mettere fine a questa guerra solo dopo colloqui diretti tra me e Putin». Il dialogo impossibile resta una chimera. Intanto, però, di positivo c’è che sul terreno, nel quattordicesimo giorno di invasione russa, a metà giornata di ieri almeno 18mila civili erano riusciti a filtrare illesi attraverso i corridoi umanitari protetti, come concordato dalle delegazioni russa e ucraina nelle foreste della Bielorussia. 

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Colonne umane, per lo più donne, bambini e anziani, si spostano, cercando scampo dalle città che si trovano lungo le direttrici dell’offensiva di Mosca, sulla costa del Mar Nero a Mariupol, più a Nord vicino alla centrale nucleare che per una notte ha tenuto il mondo col fiato sospeso, su su fino ai sobborghi di Kiev, la capitale. Qui, a Bucha, le forze d’invasione avrebbero però bloccato il flusso. Il segretario di Stato Usa, Antony Blinken, con l’omologa britannica Liz Truss sostiene che i corridoi «vanno ampliati», perché la «maggior parte delle città ucraine è accerchiata, mancano acqua e cibo e i bombardamenti continuano a colpire i civili». Al contrario, il ministero della Difesa russo rivendica di avere rispettato il cessate il fuoco “umanitario” e accusa piuttosto le autorità ucraine di «non aver notificato ai civili e ai cittadini stranieri» l’esistenza dei corridoi, addirittura di avere «categoricamente respinto» la possibilità di fuggire in Russia-Bielorussia, e aver autorizzato i nazionalisti a «usare le armi contro chi cercava di evacuare verso la Cina». In generale, l’intesa sui corridoi comunque regge. Adesso c’è da lavorare sulla tregua, quella vera, e sulla preparazione di un tavolo negoziale di alto livello. Zelinsky ieri ha detto ai media internazionali di non voler entrare nei dettagli di quello che oggi si preannuncia come il primo serio tentativo di confronto. Riflettori puntati sull’incontro, ad Antalya, tra i ministri degli Esteri russo e ucraino, Lavrov e Kuleba, condotti allo stesso tavolo dall’omologo turco padrone di casa, Cavusoglu. Fiducioso Erdogan: «Lavoriamo per evitare che la crisi si trasformi in tragedia. Spero che questo incontro apra le porte per stabilire un cessate il fuoco permanente». Il leader turco è votato alla mediazione, ha buoni rapporti sia con Mosca che con Kiev. Dalla Russia ha acquistato il sistema missilistico S-400, andando incontro all’irritazione di Nato e Stati Uniti, e saranno i russi a costruire la prima centrale nucleare turca. In più, Erdogan non ha messo le sanzioni a Mosca. Turchi però sono i droni Bayraktar Tb2 da combattimento che stanno decimando le colonne di tank russi diretti a Kiev. E poi Erdogan ha ordinato, per la Convenzione di Montreux, la chiusura degli Stretti alle navi da guerra. 

Video

Quali potranno essere i margini di successo dell’iniziativa turca? «Le trattative con i russi hanno sempre il limite della catastrofe umanitaria di questa guerra», dice il sindaco di Kiev, Vitali Klitschko. L’Ucraina tratta con la pistola puntata alla tempia. I media israeliani rilanciano l’idea che al di là delle parole, una base negoziale sia stata già messa a punto da russi e ucraini, un po’ grazie al viaggio a Mosca del premier israeliano Bennett sabato scorso. Putin chiederebbe il riconoscimento della Crimea russa e l’indipendenza delle Repubbliche separatiste del Donbass. Più una garanzia costituzionale della neutralità dell’Ucraina e della sua non adesione alla Nato. Potrebbe essere un diritto di veto da parte di ogni singola provincia, comprese quelle amministrate da russofili. Putin rinuncerebbe in questo caso a pretendere il cambio di governo a Kiev. 

Cozza con questo scenario l’altolà del ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba, il quale dice di avere “aspettative limitate” dai colloqui di Antalya e che sì, sarà presente, «in buona fede e non con intenti propagandistici». Ma mette in chiaro di puntare al cessate il fuoco, alla liberazione dei territori e alla risoluzione di tutte le questioni umanitarie. Ihor Zhovka, consigliere di Zelensky, insiste che si può discutere sulla «neutralità», ma Kiev «non cederà un solo centimetro di territorio». Da posizioni opposte il portavoce di Putin, Peshkov, parla delle Repubbliche di Donetsk e Lugansk “Stati sovrani e indipendenti”. E ieri ha alzato la voce pure la Cina, schierandosi al fianco della Russia. I portavoce del ministero degli Esteri si sono scagliati contro le sanzioni occidentali che «non portano pace né sicurezza, ma difficoltà economiche e privazioni». E, soprattutto, contro la Nato, «guidata dagli Usa, le cui azioni hanno gradualmente spinto fino al conflitto Russia-Ucraina». Colpa di Washington, insomma. 

© RIPRODUZIONE RISERVATA
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