Ucraina, l'elemosiniere del papa: «Porto messaggi di pace fermate la mano di Caino»

Ucraina, l'elemosiniere del papa: «Porto messaggi di pace fermate la mano di Caino»
di Angelo Scelzo
Domenica 17 Aprile 2022, 08:47 - Ultimo agg. 18:05
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Difficile vederlo in tonaca e filettata, la fascia e lo zucchetto rosso-porpora dei cardinali. Ma ai bordi del cratere della fossa comune di Borodianka, a nord di Kiev, più di ottanta morti senza nome e senza volti, la lunga veste nera quasi squarciava, come un paradossale tocco di colore, la tristezza di una voragine di fango e polvere. Al fianco del cardinale in ginocchio, due pale conficcate nel terriccio, pronte a spalare altra terra e altra desolazione. Per quella via Crucis del Venerdì Santo più vero e drammatico della sua vita, Konrad Krajewsky, giovane cardinale di Curia, messo a capo dal Papa nel nuovo Dicastero per il servizio alla carità, ha voluto indossare l'abito delle occasioni solenni. Si trovava di fronte - lui chiamato a Roma da Giovanni Paolo II proprio come cerimoniere - a una liturgia che in quel luogo contemplava nient'altro che la morte, l'orrenda buca scavata da poco come un'unica drammatica Stazione, con le ruspe e i picconi intorno , quasi a oscurare e rendere vano il vicino orizzonte della Pasqua. «Ho visto quale abisso il male possa scavare sotto i nostri occhi e anche dentro al nostro cuore. Kiev è oggi un bivio per l'umanità.

C'è però una resurrezione che non è solo promessa, ma la più assoluta delle certezze. Il Venerdì Santo è il passo falso di un cammino tutto diverso e alternativo che approda a tutt'altro e scrive un'altra storia per tutto il genere umano. Qui, in questo panorama di rovine e devastazioni, siamo pienamente dentro a una realtà che respira con la maschera d'ossigeno della speranza. Sono arrivato qui, inviato dal Papa, per vivere la più straordinaria e intensa delle settimane sante che possa capitare a un cristiano. Per noi quella speranza ha un nome, Cristo, e il Golgota del passaggio dalla Croce alla Resurrezione sono i tratti insanguinati di queste strade e dei villaggi passati a ferro a fuoco dalla furia delle armi, imbevuti e disseminati dal fiele e dall'aceto dell'inimicizia. È quello che il Papa ha chiamato lo schema di Caino».

Cardinale, ma anche garzone della carità di Francesco, nel senso che quando occorre - quasi sempre - è lui a portare sul posto gli aiuti. Ma non solo. È anche lui a raccoglierli in giro per l'Italia e caricarli, con l'aiuto di volontari, rimboccandosi però le maniche, senza stare a guardare, sui furgoni che gli affidano di volta in volta o su quello, a lui riservato dell'autoparco vaticano.

Per raggiungere Kiev per la Settimana Santa ha cambiato automezzo. Si è messo alla guida dell'autoambulanza donata dal Papa, e dopo aver fatto rifornimento di medicinali in varie diocesi - due volte è passato per Napoli e Pompei- ha preso la (lunga) strada della capitale ucraina. Era la terza volta, in meno di due mesi, che prendeva la direzione dell'Europa centrale.

La prima tappa era stata nella sua Polonia per il primo carico di aiuti a chi scappava dalla guerra. Poi Leopoli e ora Kiev, ancora più nel cuore del dramma e dell'Ucraina. La conoscono tutti come il cardinale a cui piace «sporcarsi le mani». «È un'espressione che non mi piace. Sporcarsi le mani? Semmai è vero il contrario. Lavarle, purificarle al contatto con realtà di sofferenza, di disagio, di condivisione. Le mani aiutano l'uomo a costruire la propria dignità. Sulla strada per Borodianka ho fatto appena in tempo a toccare con le mie mani, e benedire, il corpo di un uomo che aveva appena smesso di vivere. Le mani rendono possibile la grazia del toccare, del farsi prossimo nella maniera più vera e più concreta. È ciò di cui ha bisogno oggi l'Ucraina: sentitisi toccata e raggiunta dalla solidarietà di chi non riesce e non ha diritto di voltare le spalle di fronte al suo dramma».

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Ma le vie di pace sembrano più che mai ostruite. C'è stato, anche tra i cristiani chi ha giudicato inopportuna la presenza, l'una accanto all'altra, alla via Crucis al Colosseo, di due donne e delle rispettive famiglie russe e ucraine.
«La preghiera non può mai essere inopportuna. Non si prega a seconda dei torti o delle ragioni. È una dimensione del tutto fuorviante. E poi quel silenzio che ha accompagnato la meditazione di quella tragica tredicesima stazione, che cos'era se non un'intensa invocazione di pace? Siamo nel Sabato Santo, il giorno del silenzio di Dio. I silenzi contano e parlano talvolta più delle stesse parole. Contano le emozioni e ho visto nel volto affranto del Papa la partecipazione e il dolore di un profeta di pace che, ancora una volta, ha rivolto l'appello a disarmare la mano del fratello contro il fratello».

La sua presenza a Kiev può essere il preludio di una prossima visita del Papa?
«Non esiste nessuna relazione, sul piano dei possibili sviluppi diplomatici, tra la mia visita e quella eventuale di Papa Francesco. Il Papa è stato chiaro quando ne ha parlato, per la prima volta sull'aereo di ritorno dal viaggio a Malta. Si stanno studiando tutte le possibilità e le diverse implicazioni di un viaggio che, posso ben dire, Francesco ha già compiuto più volte con il cuore. Io stesso, in questi giorni, mi sento un suo privilegiato messaggero. Io faccio tutto in suo nome. Porto la sua parola e distribuisco le sue carezze. Trasmetto il suo conforto e sono la mano tesa della sua carità. Non sono altro che questo. E vorrei anzi ringraziarlo per avermi fatto vivere questa Settimana Santa che non si può dimenticare».

Sul ciglio del cratere di Borodianka, il giovane cardinale in filettata d'ordinanza, ha lasciato lacrime e silenzio. Quando è rientrato in nunziatura, con l'arcivescovo Visvaldas Kulbokas, l'unico diplomatico rimasto sempre sul posto, anche durante i bombardamenti più violenti, ha affidato a un messaggio vocale le sue emozioni. Non poteva farne a meno. Era rimasto sconvolto da ciò che aveva appena visto. Del tutto inatteso, quel messaggio è arrivato nella sala stampa vaticana. Una voce tremante e concitata. «Lo so, lo so. Sono sicuro. Dopo il Venerdì Santo ci sarà la Domenica di Resurrezione. E forse Lui ci spiegherà tutto». Ha il faccione buono questo cardinale globe-trotter della carità del Papa, quasi un porporato fuori ordinanza più a suo agio tra gli intonaci scrostati che tra gli affreschi della Sistina. È diventato il volto dei diseredati e della lunga schiera degli ultimi della fila che si accalcano, non solo virtualmente, sotto le finestre del Papa. A chiamarlo eminenza, per punizione mette il pagamento di una multa. Molti lo chiamano così, proprio per questo. E del resto il titolo è proprio quello: Cardinal Konrad Krajewsky, elemosiniere di sua Santità.

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