Usa e «America First», ecco perché Trump si sfila dalla guerra in Libia

Usa e «America First», ecco perché Trump si sfila dalla guerra in Libia
di Luca Marfé
Lunedì 8 Aprile 2019, 14:34 - Ultimo agg. 9 Aprile, 09:06
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Saggi o vigliacchi? O ancora, molto più semplicemente, soltanto fedeli alla dottrina Trump dell’«America First». Gli Stati Uniti lasciano la Libia nel caos pur di mantenere l’ennesima promessa del loro presidente. In generale, pur di onorare quel mantra stringato in «Prima l’America» che vuole Washington più concentrata su di sé e sui suoi confini che non impegnata e sparpagliata altrove nel mondo.

Tripoli è un inferno e il peggio deve ancora arrivare. Il maresciallo Haftar vuole la capitale e il primo ministro al Serraj, posto a capo del governo e riconosciuto dalla Comunità Internazionale, si prepara a resistere.

La verità, banale ma decisiva, è che a Trump di tutto questo non gliene frega niente.



Perché sprecare risorse - umane, economiche e di popolarità - in una geografia lontana e in una strategia inutile se non addirittura controproducente?

Nessun grande ragionamento, nessuna lungimiranza. Solo un calcolo (elettorale) di breve periodo. Solo una considerazione a metà tra il buon senso e gli interessi di una politica nazionalista. Una considerazione che si converte di colpo in una conclusione.

Gli alleati europei che si dicono spiazzati dalla mossa a stelle e strisce evidentemente del tycoon hanno capito poco o nulla.

L’annuncio di Trump non ha granché di sorprendente e lascia al Vecchio Continente gli oneri del suo tormentato rapporto con l’Africa e in generale della sua relazione con se stesso e con i suoi dossier.

L’America finge di restare, affrettandosi in un annuncio che sa di farsa. Quello che conferma l’impegno di sicurezza e di intelligence al fianco dei partner di sempre. Ma la verità è che se ne va, e a gambe levate, da un Mediterraneo che non è più cosa sua.

La nuova Casa Bianca si muove volutamente in direzione ostinata e contraria alla vecchia. A quella del duo Obama-Clinton che da presidente e da segretario di Stato non hanno esitato a far saltare il tappo della Libia con vere e proprie operazioni militari.

Fa dietrofront e riposiziona fari e attenzioni su realtà più sentite e soprattutto più redditizie in termini di voti.

Per Trump, la campagna elettorale tra il 2016 e il 2020 non è finita e non finirà fino all’ambita e più che probabile riconferma.

E allora meglio puntare sulla crisi dell’immigrazione messicana e su quella del socialismo venezuelano che non andarsene in giro per il mondo a recitare inutilmente la parte degli antipatici esportatori di democrazia.

Democrazia che torna a casa, negli Stati Uniti.
Strattonata, maltrattata e abusata nei fatti, al pari di certe alleanze.
Difesa e difese soltanto a parole.

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