Usa, poliziotto uccide donna di colore malata di mente: sull'omicidio l'ombra del razzismo

Usa, poliziotto uccide donna di colore malata di mente: sull'omicidio l'ombra del razzismo
di Federica Macagnone
Giovedì 1 Giugno 2017, 21:27 - Ultimo agg. 2 Giugno, 18:01
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Non c'era alcun motivo di uccidere quella donna di 66 anni malata di mente: per questo Hugh Barry, sergente della polizia di New York, mercoledì è stato formalmente incriminato dalla procura con l'accusa di omicidio di primo grado (il più grave nell'ordinamento giudiridico americano), dopo che il grand jury aveva respinto le giustificazioni dello stesso Barry volte a dimostrare di essere stato costretto a sparare dalle circostanze.
 

 


Il sergente, che ha otto anni di servizio alle spalle, era intervenuto con dei colleghi il 18 ottobre scorso nella casa di Deborah Danner, una 66enne di colore con problemi mentali, in seguito alla segnalazione di un uomo che la sentiva urlare in continuazione. Secondo quanto lui stesso ha raccontato, una volta entrato in camera da letto l'aveva trovata con in mano un paio di forbici e l'aveva convinta a deporle. Subito dopo, però, la donna avrebbe impugnato una mazza da baseball precipitandosi verso di lui: a quel punto, Hugh le ha sparato uccidendola a bruciapelo, come se quell'anziana potesse davvero rappresentare un pericolo mortale.

 Il suo tentativo di convincere il grand jury di essere stato costretto a fare fuoco, però, non ha convinto nessuno e ora Hugh, che è stato sospeso dal servizio e ha accolto la decisione impassibile e in perfetto silenzio, andrà sotto processo per omicidio di primo grado: davanti a lui lo spettro di una condanna a 25 anni di carcere. Ad accusarlo pubblicamente, fin dai primi momenti, ci sono anche un suo collega, James O'Neill, e il sindaco di New York Bill de Blasio. 

È la prima volta, dal 1999, che un poliziotto di New York finisce alla sbarra con l'accusa di omicidio al massimo livello: e anche su questo caso, come su quello di 18 anni fa, aleggia l'ombra del razzismo. All'epoca la vittima fu uno studente liberiano di 23 anni, Amadou Bailo Diallo, ucciso da quattro agenti con 19 colpi di pistola durante le ricerche di uno stupratore: il ragazzo, che era disarmato e aveva l'unica colpa di somigliare al ricercato, fu crivellato di proiettili mentre metteva le mani in tasca per cercare i documenti da esibire ai poliziotti. Il caso suscitò uno scalpore enorme, anche per il fatto che i quattro agenti furono riconosciuti innocenti.
Come nel caso di Diallo, anche la famiglia di Deborah dà alla tragedia i connotati del razzismo. «Mia cugina non aveva motivo di morire, e quel poliziotto non aveva motivo di spararle - ha detto Wallace Cooke, 74enne poliziotto in pensione - Se fosse stata bianca come lui, Deborah sarebbe ancora viva. Lui voleva ucciderla, senza dubbio. Chi è che spara a qualcuno due volte nella sua camera da letto? Tutto quello che quell'agente doveva fare era chiudere quella dannata porta e uscire». 

I procuratori, dal canto loro, dicono che Barry aveva ignorato le procedure da seguire quando si ha a che fare con persone emotivamente disturbate: i poliziotti, in casi come questi, sono infatti tenuti a tenere sotto controllo la situazione e attendere l'intervento delle unità di emergenza specializzate. «La perdita di Deborah Danner è stata una tragedia sentita profondamente dalla nostra città - ha detto mercoledì il sindaco de Blasio - Ora che il grand jury ha preso la sua decisione, attendiamo con piena fiducia l'azione della procura distrettuale». 
Gli avvocati della difesa, in ogni caso, non demordono ed evocano lo spettro della congiura: «Barry è senza dubbio una pedina di qualche gioco politico - dicono - Qui ci sono programmi politici sul tavolo. È vergognoso».

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