Oggi quasi un bambino su cinque al mondo vive nelle aree di conflitto. 79,5 milioni di persone sono state costrette ad abbandonare le proprie abitazioni a causa degli scontri e delle violenze, il 40% delle quali sono minori. Molti altri restano intrappolati nei loro paesi, spesso dietro le linee nemiche o nei bassifondi urbani. Le guerre moderne, intanto, hanno assunto nuove sembianze. Spesso sono combattute da gruppi armati irregolari, nei contesti urbani, coinvolgendo i civili. E nel mirino finiscono sempre più scuole, ospedali e operatori sanitari. Un contesto, spiega il nuovo rapporto “Not immune: children in conflict” di Save the Children, che quest’anno ha visto sospendere i programmi di immunizzazione in oltre 60 paesi. Si stima che 80 milioni di bambini con un’età inferiore a un anno potrebbero contrarre «gravi malattie prevenibili con le terapie vaccinali» e solo tra maggio e agosto sfiorano i 50 milioni coloro che non hanno potuto vaccinarsi contro la poliomielite. E l’attuale crisi epidemiologica non potrebbe che acuire ancor di più le attese.
«Il covid-19 ha reso dolorosamente evidente che nessun paese è immune alla diffusione di malattie», spiega Zaeem Haq, direttore medico globale di Save the Children. «Garantire la salute dei bambini nei conflitti non solo rappresenta uno dei loro diritti fondamentali, ma è anche una parte indispensabile per la protezione della salute globale». Secondo Haq, mentre le risorse vengono reindirizzate per combattere il coronavirus, «il mondo non può permettere ad altre terribili malattie di riemergere e diffondersi tra le popolazioni vulnerabili». In questo contesto, spiega il rapporto, i sistemi sanitari boccheggiano e faticano a coprire infatti le patologie più comuni. Tra l’altro, «è sempre più difficile e pericoloso per gli operatori sanitari e gli attori umanitari raggiungere i bambini con aiuti di base, comprese le vaccinazioni essenziali e salvavita», aggiunge Paul Ronalds, chief executive officer di Save the Children Australia.
Di conseguenza, spiegano i ricercatori, i passi avanti compiuti nel tempo sul fronte della vaccinazione contro le malattie mortali rischiano di venire erosi. Solo in Siria, ad esempio, i livelli di immunizzazione per difterite, tetano e pertosse, che prima dello scoppio delle ostilità superavano l’80%, nel 2018 si sono quasi dimezzati, toccando il 47%.
«Abbiamo combattuto troppo a lungo e troppo duramente per sconfiggere queste malattie», continua Haq. «Solo pochi mesi fa, il segretario generale delle Nazioni Unite ha chiesto un cessate il fuoco globale per limitare la diffusione del covid-19 e consentire agli aiuti, e alle vaccinazioni, di raggiungere i bambini più vulnerabili e le loro famiglie. Ma i combattimenti continuano. Questo è inaccettabile». «Attraverso forti investimenti finanziari e sfruttando le competenze, le capacità e le risorse di tutti i partner – governi, Gavi (l’alleanza globale per i vaccini, ndr), Onu e società civile – possiamo percorrere insieme l’ultimo miglio sulle vaccinazioni infantili e garantire che tutti i bambini siano immuni da malattie prevenibili», conclude Ronalds. L’organizzazione internazionale, dunque, lancia un appello ai leader mondiali, chiedendo tra l’altro un maggior sostegno per i paesi colpiti dai conflitti nell'ottica di un'estensione della copertura immunitaria. Perché, riprendendo quanto approfondito da un gruppo di esperti sulla rivista scientifica The Lancet, secondo i ricercatori «la guerra è un problema di salute pubblica causato dall’uomo» e «raggiungere anche l’ultimo bambino con vaccinazioni salvavita è un obiettivo cui tutti dovremmo tendere».