Vaccino Covid, ai Paesi poveri le briciole: finora dosi soltanto a tre abitanti su mille

Vaccino Covid, ai Paesi poveri le briciole: finora dosi soltanto a tre abitanti su mille
di Erminia Voccia
Venerdì 11 Giugno 2021, 00:00 - Ultimo agg. 12 Giugno, 08:33
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Meglio tardi che mai. Alla fine è arrivata anche la promessa degli Stati Uniti di Joe Biden di donare 500 milioni di dosi di vaccino Pfizer al resto del mondo. Un’indiscrezione del New York Times, secondo cui verranno acquistate e distribuite 200 milioni di dosi quest’anno e 300 milioni l’anno prossimo. Una promessa lodevole e utile, ma non sufficiente a garantire il completamento della campagna globale di immunizzazione. 

Il 66% delle dosi inoculate in tutto il mondo sono andate ai cittadini dei Paesi ad alto reddito, il 33% ai cittadini dei Paesi a reddito medio alto. Per i Paesi a reddito medio basso o a basso reddito il database Our World in Data, un progetto dell’University of Oxford, non ha dati disponibili e questo forse basterebbe per chiudere la discussione e per chiarire la proporzione della diseguaglianza tra nazioni ricche, come siamo abituati a chiamarle, e nazioni considerate povere.

I Paesi a basso reddito fanno affidamento sul programma Covax targato Onu, che però non sta rispettando la tabella di marcia. Infatti, a fronte degli impegni presi (due miliardi di dosi entro il 2021 e 1,8 miliardi entro l’inizio del 2022) finora sono state distribuite solo 81 milioni di dosi. E alcune sono andate anche a Paesi ricchi che ne avevano bisogno, per esempio il Canada.

Secondo il New York Times, l’85% delle dosi di vaccini somministrate nel mondo sono state inoculate agli abitanti dei Paesi più ricchi, appena lo 0,3% sarebbe andato ai Paesi a basso reddito. In Africa le dosi somministrate fino al 9 giugno sono state solo l’1,76% del totale mondiale; in Sudamerica il 6,11%; in Asia quasi il 57%; in Europa e Nord America rispettivamente il 17,84% e il 17,01%; in Oceania lo 0,3%. L’Asia in termini assoluti è al vertice della classifica per continente, ma a determinare questo risultato sono Stati molto popolosi come Cina e India, dove il valore relativo è invece molto basso. 

Se si considera un altro parametro, ovvero la quantità di dosi somministrate ogni 100 persone, volendo intendere cioè la singola dose e non la vaccinazione completa, gli Stati Uniti guidano la classifica globale con 65, seguiti dal nostro continente che registra 54 dosi ogni 100 persone. Il Sudamerica ne registra 32, l’Asia 28, l’Oceania 15, ultima l’Africa con 2,9. Soltanto 7 delle nazioni africane contano di vaccinare il 10% della popolazione entro settembre, come riferisce l’Oms, un obiettivo non certo ambizioso.

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L’India segue Stati Uniti e Cina per dosi totali somministrate ed è in cima alla classifica dei Paesi a reddito medio basso 17 dosi somministrate ogni 100 persone. Ma è indietro nella tabella di marcia e i dati vanno visti con la lente di ingrandimento, il problema non riguarda solo le forniture. Quella del Paese asiatico, colpito duramente dal Sars-Cov-2 tra aprile e maggio, più che un’accelerazione della campagna di vaccinazione di massa è stata una vera maratona, spiega l’organizzazione no profit di Nuova Delhi Observer Research Foundation. Ma gli abitanti delle aree urbane stanno ricevendo più dosi rispetto alle aree rurali, dove vivono centinaia di milioni di persone. Lo dicono i dati diffusi dal Governo indiano, così la malattia, vivere o morire, ancora una volta, sono questioni di casta. Le autorità indiane hanno somministrato solo 23 milioni di dosi in totale nei 114 distretti meno sviluppati del Paese, dove si concentrano 176 milioni di persone. Tuttavia, 23 milioni è lo stesso numero di dosi totali inoculate nelle grandi città, come New Delhi, Mumbai, Kolkata, Chennai, Bengaluru, Hyderabad, Pune, Thane e Nagpur, che messe insieme hanno metà della popolazione dei distretti più poveri. La disparità è diventata ancora più marcata il mese scorso, quando il Governo ha autorizzato la vendita ai privati dei vaccini per gli adulti sotto i 45 anni, un’offerta che ha favorito i più benestanti. Come racconta Reuters, aziende quali Microsoft, Pepsi, Amazon, Tata Motors hanno organizzato giornate di inoculazioni per i dipendenti, in accordo con le cliniche private dei grandi centri urbani. 

Altro caso disperato quello del Nepal, che aveva seguito la parabola della vicina India e dove la campagna di vaccinazione è appena ripartita dopo lo stop dovuto al blocco delle esportazioni di AstraZeneca deciso da Nuova Delhi. Il bando all’export aveva lasciato 1,4 milioni di persone con più di 65 anni nell’incertezza o meno di ricevere la seconda dose di vaccino. A marzo, Pechino aveva donato al Paese himalayano 800mila dosi di Sinopharm. Il Nepal aveva poi implorato l’aiuto dei governi stranieri e delle agenzie internazionali. Ma la telefonata che è servita è stata quella tra la presidente Bidhya Devi Bhandari e il leader cinese Xi Jinping, così un altro milione di dosi è arrivato dalla Repubblica Popolare proprio questo mese. 

È una questione di qualità, oltre che di quantità. I vaccini sviluppati in Cina garantiscono una copertura di poco superiore al 50%, molto più bassa di quelli occidentali. Gli scienziati hanno spiegato che, in mancanza d’altro, ovvero oltre il baratro dell’assenza totale di dosi, i vaccini cinesi possono essere un aiuto valido per i Paesi in via di sviluppo rimasti indietro. A questo punto la risposta dell’Occidente, molto avanti nell’obiettivo di uscire dal tunnel della pandemia rispetto alle nazioni più povere, anche se tardiva può rivelarsi salvifica.  

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