Il Vietnam e la sfida del coronavirus: la storia di Linh che fabbrica schermi facciali

Il Vietnam e la sfida del coronavirus: la storia di Linh che fabbrica schermi facciali
di Erminia Voccia
Lunedì 20 Aprile 2020, 19:29
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Per quasi tre decenni Quach My Linh ha venduto cappelli al mercato Ba Chieu a Ho Chi Minh City, in Vietnam. Ma dopo il lockdown nazionale dovuto al nuovo coronavirus, il venditore 42enne ha iniziato a dedicarsi alla realizzazione di schermi facciali in plastica per gli operatori sanitari schierati in prima linea contro il virus. «Anch’io sono stato un paziente e sento che la mia famiglia deve molto ai medici. Voglio creare questi scudi per mantenerli in salute. Solo se sono sani, possono proteggerci», ha detto Linh a Reuters a inizio aprile. Quach My Linh qualche anno fa era stato colpito da una malattia del sangue che ha richiesto trattamenti ospedalieri periodici.

Da quasi tre settimane il Vietnam ha iniziato una campagna di allontanamento sociale per rallentare la diffusione del virus, una misura che ha portato alla chiusura della maggior parte delle attività non essenziali, inclusa la bottega di Linh. Quando è iniziato il blocco, Linh ha riunito un gruppo di membri della famiglia, amici e colleghi venditori per iniziare a realizzare gli scudi facciali. Possono essere indossati in aggiunta alle maschere per proteggere meglio gli operatori sanitari dai droplets, le minuscole goccioline portatrici di virus rilasciate da pazienti infetti. Il tocco finale? Un adesivo, con un messaggio importante per gli operatori sanitari del Vietnam: "Combatti la malattia di Covid-19".

Il Vietnam ha accelerato la spedizione negli Stati Uniti di 450.000 tute protettive prodotte in loco dall'azienda chimica statunitense DuPont per aiutare gli operatori sanitari a combattere il coronavirus, come ha dichiarato mercoledì l'ambasciata americana ad Hanoi. «La prima delle due spedizioni iniziali di oltre 450.000 tute protettive DuPont prodotte in Vietnam è arrivata nell'archivio strategico nazionale degli Stati Uniti l'8 aprile. Questa spedizione aiuterà a proteggere gli operatori sanitari che lavorano in prima linea contro Covid-19 negli Stati Uniti e dimostra la forza della partnership USA-Vietnam», ha dichiarato l'Ambasciata vietnamita. Il Paese ha anche donato mascherine e altro materiale sanitario a Paesi vicini come il Laos e la Cambogia.

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Secondo le statistiche ufficiali, attualmente ci sarebbero più di 75mila persone in quarantena o in isolamento. Poco più di 260 casi confermati di infezione e nessun morto, nonostante più di mille chilometri di confine con la Cina. Hanoi ha dichiarato di aver eseguito più di 121mila test. Il numero dei contagi in Vietnam è quindi ben al di sotto di quelli della Corea del Sud, di Singapore e di Taiwan, citati come esempi positivi a livello internazionale.

Il virus è uno stress test per l'economia vietnamita ma potrebbe trasformarsi in un'opportunità. L'economia vietnamita, una delle più vivaci in Asia, secondo alcune stime, dovrebbe contrarsi in percentuale minore rispetto agli altri Paesi dell'area. Il Vietnam è stato uno dei pochi a trarre profitto dalla guerra commerciale tra USA e Cina, perché molte multinazionali hanno scelto di spostare le attività dalla Repubblica Popolare al Vientam per evitare le tariffe di Washington. Allo stesso modo, il virus potrebbe facilitare una seconda ondata di trasferimenti sull'onda del crescente scetticismo verso la Cina.

La scusa della Covid-19 potrebbe essere sfruttata però dal governo per imprigionare attivisti con l'accusa di aver diffuso fake news, un rischio che alimenta i timori di nuove violazioni dei diritti umani. A metà aprile il governo del Vietnam ha emesso un decreto che prevede pesanti multe per chi diffonde informazioni false attraverso internet. Il decreto ne aggiorna uno emanato nel 2013, introduce nuove regole aumentando le sanzioni già previste. Chi sarà ritenuto colpevole dovrà pagare tra i 10 e i 20 milioni di dong, pari a quasi 400-500 euro e corrispondenti ad alcuni mesi del salario minimo vietnamita.

Il timore di molti osservatori politici è che il partito comunista al potere dal 1975, anno della riunificazione del Paese, possa approfittare dell’emergenza sanitaria per aumentare il suo controllo su quel che viene pubblicato in rete e per giustificare arresti di dissidenti e attivisti. Da più di un anno, infatti, è in vigore una legge “per la sicurezza informatica” che rende illegale criticare su internet il governo. Un altro timore è che il decreto possa permettere al governo di censurare anche notizie non false sul coronavirus. A questo proposito, molti esperti hanno espresso preoccupazione sul fatto che il Vietnam stia gestendo in modo poco trasparente la situazione legata al coronavirus. Diversi analisti ritengono improbabile che un paese come il Vietnam, relativamente povero, con oltre 95 milioni di abitanti, possa contare solo qualche centinaio di casi. Il dubbio è che il Vietnam non stia riuscendo a individuare molti contagi o che, pur facendolo, stia evitando di renderli noti.

Ma c’è anche la possibilità che il Vietnam sia un'altra storia di successo e che sia davvero riuscito a contenere il contagio meglio di altri: da quando è stato individuato il primo caso, il 23 gennaio scorso, il Paese ha preso piuttosto rapidamente misure per il contenimento del contagio, imponendo molto presto la chiusura della maggior parte delle scuole e vietando i voli per la Cina. Quando cioè il problema sembrava fosse unicamente della Cina. Il 13 febbraio il Vietnam è stato anche il primo Paese, dopo la Cina, a isolare quasi del tutto una grande area residenziale: nella provincia di Vinh Phuc, a nord della capitale Hanoi e vicino al confine cinese. Per iniziative di questo tipo già a marzo il Financial Times aveva apprezzato il «modello low-cost» del Paese, focalizzato sulla quarantena e il tracciamento dei contatti. Le restrizioni e le decisioni del Vietnam sono state apprezzate anche da Kidong Park, che rappresenta l’OMS nel Paese e che ha parlato di «una risposta rapida ed energica». 
 
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