Alfano: soglie di accesso al 3%
la legge elettorale rispetti tutti

Alfano: soglie di accesso al 3% la legge elettorale rispetti tutti
di ​Marco Esposito
Domenica 14 Maggio 2017, 09:39
4 Minuti di Lettura
Il quadro politico in Europa dopo le elezioni in Austria, Olanda e Francia si va chiarendo. In Italia non è chiara neppure la legge elettorale. Lei come la vede?
«Sulle regole per il voto non ci si può ridurre a fine legislatura - dice Angelino Alfano, ministro degli Esteri e leader di Area popolare - bisogna procedere rapidamente».
Su quale testo?
«La nostra proposta Lupi-Misuraca prevede una base proporzionale con premio di coalizione...»
Solo che...
«Lo so. Non vedo convergenze. E allora in assenza di un massimo comun denominatore, il testo del relatore Andrea Mazziotti mi sembra il minimo comune multiplo». 
A Renzi però sembra minimo soprattutto lo sbarramento al 3%. E lo vuole alzare.
«Il testo riprende ed estende al Senato l'Italicum, il cui impianto è stato salvato dalla Corte costituzionale. Vorrei ricordare che l'Italicum è la sola legge che questo Parlamento ha approvato, peraltro con un voto di fiducia che ci ha visti, soli, responsabilmente a fianco del Pd».
C'era però il doppio turno.
«Non mi pare che quando la Corte ha tolto il ballottaggio ci fossero lutti al braccio. E poi il ballottaggio lo abbiamo già vissuto con il referendum costituzionale tra un sì e un no e sappiamo com'è andata».
La accuseranno di voler solo salvare i partitini.
«Non ho quest'ansia. Faccio solo presente che il 3% è più di un milione di cittadini. Se li metti in fila arrivano dalla Sicilia in Lombardia. Quindi si abbia più rispetto se non dei partiti, almeno delle persone».
Nel campo di sua provenienza politica, il centrodestra, si assiste a uno scontro tra un Berlusconi che sembra non si possa ricandidare e un Salvini protagonista. 
«In Europa l'area popolare e quella lepenista sono ovunque contrapposte. Non sta a noi sciogliere questa contraddizione. Al momento del voto i moderati sapranno cosa fare e la nostra piena autonomia e indipendenza rappresenterà il punto di forza».
Il Pd, dopo la scissione, ormai vi fa diretta concorrenza al centro.
«Il Pd resta il principale partito della sinistra italiana e la sua collocazione lascia a noi tutto lo spazio per sviluppare il programma su tasse, Sud, ceto medio, famiglie. Noi immaginiamo una rivoluzione fiscale che il Pd non può permettersi, con detrazioni e deduzioni fiscali di tipo americano».
In quest'anno elettorale si temeva molto per l'avanzata dei populisti in Austria, Olanda, Francia e Germania. Le urne, e i sondaggi tedeschi, danno un esito ben diverso. Non è che alla fine i populisti la spunteranno proprio in Italia?
«Ipotesi da scongiurare con un'alternativa popolare, che siamo noi. Perché sappiamo dove portare l'Italia. Il voto ai Cinquestelle non è solo protesta. È anche la reazione di ceti professionali che hanno vissuto o temono una retrocessione sociale. Per questo il populismo si sconfigge dando risposte, rilanciando la borghesia in declino. I risultati in Europa ci incoraggiano perché ovunque vince il fronte del buonsenso».
Non teme però che, sconfitti gli antieuropeisti, si accantonino anche le riforme dell'Unione europea?
«Sarebbe un errore gravissimo. Proprio perché gli europeisti vincono, devono dimostrare che la loro è la risposta corretta. Partendo dalla questione più seria di tutte: la disoccupazione».
Macron propone un Parlamento dei soli paesi dell'euro con un budget consistente e un ministro che attui gli investimenti. Idea affascinante o velleitaria?
«Guardiamo la realtà: l'Europa è stata costruita per 15-18 Paesi e ora siamo 27-28 con la prospettiva di superare i 30. L'edificio va risistemato. Servono coraggio, ambizione e visione e le proposte di Macron hanno queste tre caratteristiche».
A proposito di Europa, l'italiano è stato inserito tra le lingue consentite nei concorsi dei funzionari europei.
«Un successo della nostra diplomazia. L'italiano è lingua ufficiale ma poi c'è un trilinguismo di fatto francese-inglese-tedesco. Eppure i 26,8% dei candidati al prossimo concorso conosce l'italiano contro il 18,7% che parla tedesco. Iniziamo dalla questione dei concorsi per contrastare ogni discriminazione linguistica».
Libia, Turchia, Corea del Nord. Quale crisi la preoccupa di più?
«Situazioni non paragonabili. Ma non c'è dubbio che a noi arriva dritto in faccia il problema libico. In questi mesi da ministro mi sono preoccupato di tenere alta tra le priorità internazionali la questione libica, che altrimenti rischia di scivolare in fondo. Non ci può essere sicurezza e stabilità nel Mediterraneo se rimane instabile la Libia».
Che idea si è fatto delle polemiche sul traffico di migranti?
«Dopo due settimane di razzi fumogeni, mi pare che si possa ripetere quanto dissi il primo giorno. Sì ad accertamenti, sostegno a chi è impegnato nell'accertare i fatti, ma no alle generalizzazioni e rispetto infinito per chi salva vite umane».
C'è però un problema di credibilità delle autorità libiche.
«La Libia ha una storia complessa e tragica. Credo nel negoziato politico per favorire, anche con il nostro impegno, una pacificazione Est-Ovest».
Interno o Esteri? Quale ministero è più complesso?
«Cambia il punto di vista ma la realtà rimane la stessa. Al Viminale l'impegno maggiore è stato sul terrorismo internazionale e il traffico di essere umani. Alla Farnesina è lo stesso. Il mio orgoglio da ministro dell'Interno è aver contribuito, mentre attorno a noi scoppiavano le bombe, a coniugare sicurezza e solidarietà. Tenerle insieme è la forza dell'Italia, una capacità rara nel mondo intero». 
Chiudiamo con una buona notizia: Cristian Provvisionato è tornato a casa dopo quasi due anni di ingiustificata detenzione in Mauritania...
«Non buona, ottima. È la prova che la nostra rete diplomatica e consolare funziona. Lo avevo promesso alla mamma di Cristian, Doina. E oggi...»
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