Antimafia per tutti nel Parlamento degli incompetenti

di Giovanni Fiandaca
Venerdì 30 Giugno 2017, 08:10 - Ultimo agg. 08:20
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Riforme che incidono profondamente sui diritti fondamentali, come quella volta a estendere la confisca preventiva antimafia all'indiziato anche di un solo delitto contro la pubblica amministrazione, non dovrebbero essere varate in assenza di una elaborazione tecnico-giuridica adeguata. Purtroppo, in Parlamento predominano incompetenze, confusione, improvvisazione e approssimazione. E non dovrebbe costituire criterio di decisione politica determinante, per un partito come il Pd, la paura di essere accusato dai grillini di non voler fare sul serio nella lotta alla corruzione.

Ribadisco, in sintesi, perché l'innovazione è poco ragionevole. La confisca di prevenzione cosiddetta allargata, che può avere ad oggetto l'intero patrimonio, è stata introdotta nel 1982 riguardo agli indiziati di appartenenza alla criminalità organizzata di stampo mafioso, sulla base di un presupposto empiricamente avvalorato dalle conoscenze criminologiche: che il mafioso sia un soggetto che accomuna patrimoni grazie a una attività illecita ripetuta e protratta nel tempo. Da qui la presunzione legislativa che le ricchezze acquisite, salva prova contraria, siano frutto di pregresse e reiterate condotte delittuose. 

Una presunzione analoga non risulta, invece, altrettanto ragionevole (con la possibilità, dunque, di essere sindacata dalla Corte Costituzionale) nel caso di chi sia indiziato di aver commesso, ad esempio, un solo piccolo peculato o anche una sola corruzione: la persona a cui capita di commettere un reato contro la pubblica amministrazione non è infatti, perciò stesso, un soggetto professionalmente o abitualmente dedito a compiere reati dello stesso tipo.
Per superare una simile incongruenza, gli attuali relatori al Senato Lumia e Pagliari hanno ritenuto di far proprio un suggerimento del Procuratore nazionale antimafia, consistente nell'aggiungere che il soggetto in questione debba altresì essere indiziato di far parte di un'associazione per delinquere, anche cosiddetta semplice (art. 416 C.P.). Con tutto il rispetto per il Procuratore Franco Roberti, questa modifica aggiuntiva non mi pare idonea a risolvere il problema. Nella logica della confisca allargata, decisivo non è infatti che il singolo reato contro la pubblica amministrazione sia oggetto del programma criminoso di un'associazione: ma, piuttosto, è determinante la presenza di riscontri circa la continuità o la professionalità dell'attività illecita, elementi questi che possono anche prescindere dal fatto che il soggetto sia o meno indiziato di appartenere ad un sodalizio criminale.

Tutto ciò premesso, auspicherei - almeno allo stato attuale - un atto di sopravvenuto pentimento parlamentare, con conseguente blocco della riforma. Tanto più che, nonostante la stragrande maggioranze dei cittadini lo ignori, la confisca antimafia può già in base al diritto vigente (a partire dai pacchetti sicurezza del 2008 e del 2009) essere applicata a tutti i soggetti indiziati di essere «abitualmente dediti ad attività delittuose», quale che sia l’attività criminosa che viene in rilievo e, dunque, anche un comportamento delittuoso abituale contro la pubblica amministrazione.

Il diritto vigente, per quanto paradossale possa sembrare, è quindi comparativamente più intelligente e ragionevole rispetto alla novità in discussione: novità che, evidentemente, i fautori della riforma vorrebbero introdurre proprio per consentire il sequestro e la confisca dell’intero patrimonio prescindendo dall’accertamento di una abitualità nell’illecito, ma in presenza appunto anche di un solo reato contro la pubblica amministrazione.

Questa tendenza ad estendere, oltre il ragionevole, sequestro e confisca antimafia non è solo frutto di un populismo penale onnivoro, che strumentalizza politicamente la lotta alla corruzione come spot elettorale. Essa non tiene, per di più, conto della perdita di legittimazione che la normativa italiana sulle misure di prevenzione sta cominciando a subire per effetto della Corte Europea di Strasburgo, in particolare a partire dalla recente sentenza «de Tommaso». Anziché incrementare i difetti del sistema attuale, approvando una novità normativa non solo discutibilissima ma di pressoché nulla utilità pratica, il ceto politico farebbe meglio ad avviare un processo di profonda revisione dell’intero sistema della prevenzione personale e patrimoniale, in modo da renderne meno generici e vaghi i presupposti applicativi, e così da riscriverlo in linea con i principi di civiltà giuridica additati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.
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