Morto Antonio Catricalà, il servitore dello Stato tra diritto e politica

Morto Antonio Catricalà, il servitore dello Stato tra diritto e politica
Morto Antonio Catricalà, il servitore dello Stato tra diritto e politica
di Mario Ajello
Giovedì 25 Febbraio 2021, 00:13 - Ultimo agg. 18 Febbraio, 02:31
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È una morte la morte di Antonio Catricalà che provoca un dolore personale e collettivo molto forte e insieme suscita una sofferenza civile profonda. Se i grand commis sono gli Stradivari della macchina dello Stato, Catricalà ha rappresentato questa qualità al massimo grado. La sua competenza nel far funzionare le istituzioni, senza mai piegarsi a logiche di parte o alle pretese ideologiche degli altri e adottando invece la cultura del pragmatismo privo di etichette, è una dote repubblicana che è stata preziosa nel passato e nel presente del nostro Paese ma che resta sperabile garanzia anche per il futuro. 

Catricalà, l'ex Garante Antitrust era stato nominato presidente dell'Igi pochi giorni fa

La sua drammatica scomparsa, che è quella di un uomo mai drammatizzante, esempio di equilibrio fondato sulla solidità e sull’esperienza in nome degli interessi generali, porta a ripensare al valore di una figura rara.

Quella di un grande italiano, capace di dire una cosa che tutti noi dovremmo appuntarci ogni giorno nella nostra agenda: «Ciò che più mi fa arrabbiare è la sciatteria: che sia sul lavoro o nella gestione dei rapporti tra persone, non la sopporto. Perché è una mancanza di rispetto nei confronti del prossimo».

Da qui l’impegno professionale quotidiano e costante da servitore dello Stato - nei suoi vari ruoli: giurista, magistrato, consigliere di Stato, capo di gabinetto in governi di destra, di sinistra e tecnici, avvocato, presidente tutt’ora in carica degli Aeroporti di Roma fino alla nomina dell’altro giorno alla guida dell’Istituto Grandi Infrastrutture - per il Paese che adorava con spiccata sensibilità per il suo Sud. Delle cui potenzialità, da calabrese di razza, era arciconvinto e univa a questa convinzione anche quest’altra: che senza un riequilibrio tra le varie parti della Penisola la cosiddetta «locomotiva» del Nord avrebbe compiuto poco cammino. Va fatto risalire al suo fastidio per la «sciatteria» anche quel suo garbo non ostentato e sostanziale, di antica derivazione meridionale (era nato a Catanzaro nel 1952), con cui si relazionava nei confronti degli altri. Univa eleganza a semplicità, sorriso a sapienza. 

Da Maccanico a Gianni Letta: quello il suo mondo, quello il suo habitus. Nel 2005 il governo Berlusconi lo nomina presidente dell’Antitrust, carica che ha ricoperto con visione profondamente innovativa: quella della tutela dei diritti dei consumatori. Nel 2011 è sottosegretario alla presidenza del consiglio con Monti. Nel 2013 è viceministro nel Mise, con delega alle Comunicazioni, nell’esecutivo guidato da Enrico Letta. Ma Catricalà, se vogliamo insistere con l’elenco dei compiti svolti ma quasi non varrebbe la pena ricordarli perché il personaggio ormai vive di per sé anche se non c’è più, è stato tra l’altro capo di gabinetto del ministro della Funzione pubblica nel ‘94 con Urbani (governo Berlusconi I), idem con Frattini (governo Dini) e nel ‘96 alle

Comunicazioni con Maccanico (Prodi I), nel ‘99 di nuovo alla Funzione pubblica con Angelo Piazza (esecutivo D’Alema) e insomma: se si deve pensare a una figura bipartisan, si deve pensare a Catricalà. Berlusconi, che lo ha avuto come segretario generale a Palazzo Chigi nel 2001, raccontava: «Catricalà è indispensabile non soltanto per me, ma anche per Gianni Letta». Indispensabile per tutti. «L’amministrazione dello Stato - questo il suo mantra - dev’essere neutrale. Sempre. E’ una garanzia prima di tutto per i cittadini ma anche per la politica». E ancora: «Al politico con il quale si lavora, bisogna anche saper dire dei bei no. Spiegare che non tutto si può fare. E’ più importante avere una personalità forte che una tessera di partito». Il suo caso ne è la riprova. Sua figlia Michela (l’altra è Giulia) una volta ha raccontato: «Ho appreso da papà una regola di vita: honesty is the best policy». 

Fittissima rete di relazioni trasversali, tecnicamente bravissimo nel farsi cinghia di trasmissione tra decisioni politiche ed esecuzione amministrativa, personalmente affidabile: l’Italia ha perduto un tipo così. Che sarebbe risultato preziosissimo nell’attuale fase di ricostruzione nazionale e infatti si era parlato di lui come possibile ministro allo Sviluppo economico e avrebbe potuto fare questo e tanto altro. Quando uno conosce i ferri del mestiere, e lo Stradivari scomparso ieri li maneggiava assolutamente, non c’è stagione politica - a meno che non sia accecata dalla superstizione dell’uno vale uno - che possa prescindere da questo accumulo di competenze. E l’Italia senza Catricalà diventa insomma un Paese più fragile. In un momento in cui le figure come lui dovrebbero moltiplicarsi, si è andato perduto l’originale. Nella sua matrice stava scritto che la partigianeria non crea coesione e non dà sviluppo. E il modello Catricalà, adottato in pieno da Draghi e sperabilmente anche dal suo governo, insegna pure questo: «Mi ispiro alla massima riservatezza e a non comparire dove non è necessario. Serve sobrietà assoluta, anche nell’esposizione con la stampa». 
A suo modo, come tutti i grand commis di alto profilo, Catricalà faceva politica. Più e meglio dei politici. La faceva in nome di un interesse superiore: quello dell’indipendenza dello Stato dall’invadenza dei partiti. E questo, insieme a tanto altro, deve restare di lui. Un patriottismo che non ammette deroghe. Ma anche uno stile esistenziale che gli faceva pronunciare parole come queste: «Mi emoziona il mare, le sue sfumature, le onde improvvise, la repentinità con cui cambia». E la vita, nel suo caso, si è rivelata come il mare.

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