Armi all'Ucraina, Roma congela il decreto. «Ma il sostegno rimane». ​Zelensky ha chiesto i sistemi contraerei. L’Italia frena: non ne abbiamo abbastanza

Roma congela il decreto per le nuove armi a Kiev. «Ma il sostegno rimane»
Roma congela il decreto per le nuove armi a Kiev. «Ma il sostegno rimane»
di Alberto Gentili
Martedì 1 Novembre 2022, 22:43 - Ultimo agg. 3 Novembre, 08:06
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«Non c’è al momento allo studio alcun nuovo decreto per inviare armi all’Ucraina». Il messaggio che arriva da palazzo Chigi e dal ministero della Difesa è lapidario. Non lascia margini di dubbio. A dispetto del tam tam degli ultimi giorni, innescato dalla richiesta pressante del presidente Volodymyr Zelensky di nuovi sistemi di difesa aerea per alzare un argine ai bombardamenti russi su Kiev e sulle altre città ucraine, Roma congela le nuove forniture. E non perché Giorgia Meloni abbia deciso di contraddire quanto detto in Parlamento, al presidente americano Joe Biden e a Zelensky: «L’Italia continuerà a sostenere anche militarmente Kiev. La pace si ottiene consentendo all’Ucraina di difendersi». L’operazione armi all’Ucraina è in stand-by, assicurano più fonti di governo, «solo e soltanto perché prima è necessario coordinarci con la Nato ed entrare nel dettaglio delle richieste militari dell’Ucraina. Solo allora si capirà cosa serve a Kiev e quali armamenti potremo fornire».

IL VERTICE
L’appuntamento cruciale per mettere a fuoco le nuove forniture sarà la visita a Roma del segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, in programma nei prossimi giorni. Una missione che porterà il capo dell’Alleanza atlantica a incontrare Meloni e il ministro della Difesa, Giulio Crosetto. E, con loro, stabilire quali sono le armi indispensabili per difendere Kiev e le città ucraine dai bombardamenti russi. Con tre problemi.
Il primo: la settimana scorsa il ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba ha chiesto al ministero degli Esteri Antonio Tajani «sistemi di difesa aerea».

Vale a dire: la fornitura dei sofisticati e costosissimi missili contraerei SAMP-T terra-aria. Ma da ciò che filtra dalla Difesa, l’Italia ha a disposizione poche batterie di razzi di questo tipo. E se dovesse consegnarne alcune a Kiev rischierebbe di sguarnire il proprio sistema di difesa. Da qui qualche perplessità. Tant’è, che è probabile che si viri su altri sistemi d’arma.

Il secondo problema è che il nuovo decreto sarebbe il sesto da quando a febbraio è scattata l’invasione russa dell’Ucraina. E Roma non ha ancora provveduto a consegnare tutti gli armamenti assegnati a Kiev con il quarto e quinto decreto interministeriale. «Dunque dobbiamo completare il lavoro, prima di affrontarne uno nuovo...», dicono alla Difesa.

Il terzo nodo è procedurale. Per poter redigere un nuovo “pacchetto” di armamenti è indispensabile un passaggio del ministro della Difesa Crosetto presso il Comitato parlamentare sui Servizi che, attualmente, non è ancora operativo: con la fine della vecchia legislatura e l’inizio della nuova, il Copasir deve avere ancora un presidente (Adolfo Urso è diventato responsabile dello Sviluppo economico) e va ricomposto nel suo plenum. 

I DISTINGUO ININFLUENTI
Dietro il congelamento del sesto decreto, a sentire fonti vicine a Meloni e a Crosetto, non ci sarebbero invece le obiezioni e i distinguo degli alleati di governo. Con Matteo Salvini che continua a invocare una conferenza di pace e lo stop al coinvolgimento dell’Italia nel conflitto ucraino. E con Silvio Berlusconi che appena domenica scorsa ha messo a verbale: «Solo se l’Ucraina capisse di non poter più contare sulle armi, ma sui fondi per la ricostruzione, Zelensky potrebbe accettare di sedersi al tavolo per una trattativa». «Queste posizioni», dice un’altissima fonte di governo, «non hanno alcuna influenza. Il sostegno militare a Kiev non è in discussione. La posizione di Meloni e del governo è chiara e non si discute: la strada è tracciata e si andrà avanti». Ma dopo aver definito timing e armamenti con gli alleati della Nato.
 

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