Asili nido, l'ennesima beffa al Sud: stessi fondi a Biella e Napoli

Asili nido, l'ennesima beffa al Sud: stessi fondi a Biella e Napoli
di Marco Esposito
Sabato 17 Ottobre 2020, 12:03 - Ultimo agg. 19:51
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I soldi per costruire asili nido? Biella e Reggio Emilia li meritano come Napoli, anche se in quelle cittadine ce ne sono già mentre a Napoli, come in tutto il Sud, il servizio è molto al di sotto dello standard. Di qualsiasi standard.

Lo ha deciso ieri mattina la Conferenza unificata Stato-Regioni-Enti locali presieduta dal ministro Francesco Boccia, con i rappresentanti meridionali ancora una volta distratti o incapaci di far valere perino i diritti elementari. Sul tavolo c'erano i primi 700 milioni di un tesoro di ben 2,5 miliardi stanziato con la legge finanziaria 2020 per costruire o ristrutturare edifici dei comuni «destinati ad asili nido e scuole dell'infanzia». La legge prevede esplicitamente la finalità del riequilibrio territoriale e impone di individuare le aree svantaggiate, cui destinare prioritariamente le risorse. Ma quando si vanno a tradurre le buone intenzioni in fatti il quadro cambia. 

 

Come si è riusciti a truccare le carte? Il primo passaggio è corretto: individuare le «aree svantaggiate» con l'analisi dell'indicatore Istat chiamato Ivsm, cioè Indice vulnerabilità sociale e materiale. Un valore sintetico di disagio sociale che arriva al dettaglio comunale. Sono stati selezionati tutti i Comuni con indice Ivsm almeno pari a 100, individuandone 2.259. Nel Mezzogiorno, ovviamente, ce ne è la maggior parte e cioè 1.596.

Ma il disagio, come è ovvio, tocca anche zone del Centronord, meritevoli quindi di sostegno. Fin qui tutto secondo logica. Adesso però iniziano le stranezze. Invece di verificare quanti piccoli vivono in quei Comuni svantaggiati e ripartire le risorse in proporzione all'obiettivo di coprire il 33%, si sono considerati tutti i Comuni come identici, con gli stessi bambini, per cui Napoli riceve la medesima attenzione del Comune di Sale, in provincia di Alessandria, in base all'incredibile regola di «uno vale uno».

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Punto secondo: visto che la legge fa riferimento alle «periferie urbane» si sono inseriti nell'elenco tutti i capoluoghi di provincia, anche quando l'indice di disagio misurato dall'Istat era basso, oppure quando le dimensioni demografiche escludono l'esistenza di periferie degradate. E così rientrano nei territori da favorire per costruire gli asili nido, città già molto ben dotate di servizi come Modena, Reggio Emilia e Bologna. O piccoli centri, come Verbania. Grandi comuni come Milano, Torino o Genova sono in elenco senza alcun criterio per proporzionare gli aiuti rispetto a città del Sud prive o quasi di servizi per l'infanzia. Secondo il decreto, che aspetta la firma definitiva del premer Giuseppe Conte, Sondrio e Biella «presentano periferie urbane caratterizzate da situazioni di marginalità economica e sociale, degrado edilizio e carenza di servizi», esattamente alla pari di Palermo o Taranto.

Si è poi stabilita la quota riservata alle aree svantaggiate e cioè ai Comuni effettivamente in difficoltà più quelli inseriti in elenco solo perché capoluoghi di provincia e che da soli valgono 18 milioni di residenti. E qui è nata una discussione tra le Regioni. Ma non per correggere il tiro, bensì per peggiorare ancora di più il quadro, con i rappresentanti politici del Sud silenti. Il governo ha previsto sui 100 milioni del 2021 (e nella medesima proporzione per gli anni successivi) di assegnarne 40 per gli asili nido (di cui 25 riservati alle aree svantaggiate); 25 per le scuole dell'infanzia (15 alle aree svantaggiate); 15 per i centri polifunzionali (di cui 10 alle aree svantaggiate) e infine 20 per riconvertire gli spazi delle scuole per l'infanzia inutilizzati (su tale voce senza quota riservata). Quando la bozza è arrivata alla Conferenza delle Regioni il Veneto ha chiesto di abbassare la quota riservata alle aree svantaggiate e le altre Regioni hanno acconsentito, per cui le cifre di 25, 15 e 10 milioni sono state tagliate a 18, 11 e 7. Ma i Comuni tramite l'Anci si sono opposti alla sforbiciata per cui la somma è tornata quella iniziale. Nessuno invece ha obiettato sull'inserimento di città come Reggio Emilia o Milano tra quelle svantaggiate. 

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Cosa accade a un Comune che è sia svantaggiato, sia capoluogo di provincia? Logica vorrebbe che Napoli, Palermo, Bari, Reggio Calabria, Salerno e la stessa Roma (che ha un indice Ivsm sopra 100) attingessero almeno al doppio canale. E invece no. Per tutti questi centri, indipendentemente dal reale disagio, dal reale fabbisogno e persino dalla popolazione vale la regola di poter presentare al massimo due progetti con richiesta di finanziamento. Lo stesso limite che vale per Portofino e qualsiasi comune ricco o povero, che sia o meno capoluogo di provincia.

Il limite di due progetti per Comune ha effetti diversi sul territorio perché ci sono regioni come Lombardia e Piemonte che contano tantissimi piccoli municipi per cui il tetto vale 3.012 progetti in Lombardia, 2.362 in Piemonte ma solo 1.100 in Campania e addirittura 514 in Puglia.

Non finisce qui. Il decreto sul quale ieri la Conferenza unificata ha espresso parere favorevole prevede anche una serie di punteggi per selezionare i progetti da finanziare. E l'ultima tegola anti-Sud è il «cofinanziamento comunale», che porta fino a dieci punti se il Comune ha i soldi per finanziare metà dell'intervento. Quindi più denaro in cassa ha un municipio, più sarà facile essere finanziato. Se al Sud i bambini resteranno ancora una volta senza asili nido, adesso sappiamo il perché.

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