Autonomia, il sì in Cdm: ora battaglia alle Camere. L'esecutivo non ascolta le richieste dei Comuni

Oggi a Napoli manifestazione contro la riforma che favorisce le Regioni già ricche

Autonomia, il sì in Cdm: ora battaglia alle Camere. L'esecutivo non ascolta le richieste dei Comuni
Autonomia, il sì in Cdm: ora battaglia alle Camere. L'esecutivo non ascolta le richieste dei Comuni
di Andrea Bassi
Venerdì 17 Marzo 2023, 10:00 - Ultimo agg. 19 Marzo, 13:21
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Le ricche regioni del Nord fanno un altro passo verso l'autonomia. Il processo avviato dal ministro degli Affari Regionali, Roberto Calderoli, non trova ostacoli all'interno del governo. Il consiglio dei ministri ha dato il via libera, per la seconda volta, alla legge quadro che disciplina il passaggio delle competenze dallo Stato centrale alle Regioni. Ora il testo andrà in Parlamento, dove si preannuncia battaglia per modificarlo soprattutto da parte delle opposizioni.

Quella sul disegno di legge è l'unica chance di intervento per le Camere, perché sulle intese il Parlamento non toccherà più palla. Oggi il Pd manifesterà a Napoli contro il progetto e la neo segretaria Elly Schlein ha dato il suo sostegno alla protesta. Anche i sindacati sono contro, dalla Cgil di Maurizio Landini alla Uil di Paolo Bombardieri. Si vedrà se anche i mal di pancia che, per ora in silenzio, covano in Fratelli d'Italia verranno allo scoperto. Quello di ieri è stato il secondo disco verde al progetto Calderoli. Il primo c'era stato alla vigilia del voto amministrativo in Lombardia. Un passaggio preliminare in attesa che la Conferenza unificata, della quale fanno parte Regioni, Province e Comuni, desse il proprio parere. Che in verità non è arrivato. Le Regioni si sono spaccate e i Comuni hanno presentato un pacchetto di emendamenti per evitare che ai governatori fossero trasferiti anche poteri amministrativi che oggi fanno capo ai sindaci oltre a quelli legislativi.

Ma le richieste sono rimbalzate contro il muro eretto da Calderoli. Che, come detto, va avanti a testa bassa sul progetto leghista nato per andare incontro alla richiesta di Veneto e Lombardia di trattenere sui loro territori i nove decimi del gettito fiscale sottraendolo alla gestione del governo centrale.Secondo gli stessi calcoli delle due Regioni, i cittadini verserebbero allo Stato centrale ogni anno 83 miliardi in più di quanto lo stesso Stato ne restituisce sotto forma di spesa pubblica in Lombardia e Veneto. 

Ma si tratta di conti parziali e contestati, basati sulla spesa pubblica regionalizzata della Ragioneria generale dello Stato e che esclude molte importanti voci, a partire dalla spesa pensionistica, concentrata soprattutto nel Nord. Non solo. Non più tardi di ieri, l'Ufficio parlamentare di Bilancio, l'Authority che vigila sui conti pubblici, ha spiegato che, solo per fare un esempio, il 60 per cento dei 110 miliardi di euro spesi per la ristrutturazione edilizia con i bonus, è andata a beneficio delle Regioni settentrionali. Non è vero, insomma, che la spesa pubblica è più alta al Sud. Del resto, fosse così, non si capirebbe perché la dotazione di infrastrutture pubbliche è concentrata in maniera preponderante nella parte settentrionale del Paese. 

Per Lombardia e Veneto, dunque, l'autonomia differenziata resta un'occasione storica per rendere più ricchi i propri territori trattenendo risorse a scapito soprattutto del governo centrale e delle Regioni del Centro-Sud. Il meccanismo costruito dalla legge delega approvata ieri, insieme alle norme sui Lep e sui fabbisogni standard inserite in manovra, non prevede che possano essere posti ostacoli a questo progetto. Veneto e Lombardia potranno chiedere tutte e 23 le materie previste dalla Costituzione, compresa la gestione delle reti nazionali di energia e di trasporto che passano sui loro territori: elettrodotti, gasdotti, reti ferroviarie e autostrade. Persino acquisire al loro patrimonio porti e aeroporti. Oltre a gestire la scuola con l'idea di garantire stipendi più elevati agli insegnanti che si trasferiranno nei loro territori. 

Tutto questo processo, una volta approvata la legge delega, sarà quasi inarrestabile. Il Parlamento assisterà come un semplice spettatore al trasferimento di competenze e risorse dallo Stato centrale alle Regioni. Non avrà nessuna possibilità di emendare le intese che saranno sottoscritte tra le Regioni e il ministero degli Affari Regionali, potrà solo dare pareri non vincolanti che potranno essere ignorati. I ministeri saranno spogliati di moltissime competenze e dovranno tagliare il proprio personale.

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Per capire quanto a fondo sarà calata la cesoia, basta leggere il documento di 81 pagine già predisposto dai tecnici di Calderoli e che punta a trasferire qualcosa come cinquecento competenze. Alle Regioni che non chiedono l'autonomia, il disegno di legge Calderoli promette di introdurre i Lep, livelli essenziali di prestazioni, di garantire cioè, un livello minimo di servizi. Una promessa che appare per il momento scritta sull'acqua perché manca delle risorse finanziarie necessarie. Ma soprattutto la definizione dei Lep e dei fabbisogni standard (le risorse necessarie) è stata affidata a una cabina di regia politica che si avvale di una commissione tecnica imbottita di uomini vicini al governatore del Veneto Luca Zaia, diversi dei quali hanno fatto parte nel 2018 della squadra che ha già trattato l'autonomia con i precedenti governi. Uno di loro, il tributarista vicentino Andrea Giovanardi, è persino in predicato di diventare presidente della Commissione tecnica sui fabbisogni standard, l'organismo tecnico che ha un ruolo delicatissimo nello stabilire il finanziamento dei livelli essenziali delle prestazioni. È questo ciò che colpisce. L'autonomia delle ricche regioni del Nord è stata trattata, fino ad oggi, come se fosse una questione di un solo partito, la Lega, e di una parte del Paese, il settentrione. Nessun altro nel governo ha toccato palla. 

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