Autonomia, le Regioni anti-Calderoli e il paradosso della riforma. «Fondi della scuola a noi»

La mossa di Emilia-Romagna, Toscana, Puglia e Campania per avere più risorse

Il governatore Vincenzo De Luca
Il governatore Vincenzo De Luca
di Andrea Bulleri
Sabato 4 Marzo 2023, 00:16 - Ultimo agg. 13:48
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Si scrive «dimensionamento scolastico», si legge tagli alla scuola. Almeno secondo le quattro regioni governate dal centrosinistra (Emilia Romagna, Toscana, Campania e Puglia), che nei giorni scorsi hanno impugnato di fronte alla Corte Costituzionale alcuni passaggi della legge di bilancio 2023. Si tratta, in particolare, dei commi che prevedono la possibilità di accorpare insieme più istituti scolastici, riducendo il numero dei presidi e producendo quindi risparmi per lo Stato. Ed è qui che arriva il cortocircuito. Perché le quattro regioni “rosse”, tutte schierate contro il progetto leghista di autonomia differenziata, sembrano chiedere tra le altre cose che i risparmi ottenuti dall’accorpamento dei plessi non tornino nelle casse pubbliche, come sarebbe lecito aspettarsi, ma rimangano nelle regioni dove sono stati prodotti. Che è proprio uno dei princìpi che il disegno del ministro Roberto Calderoli vorrebbe far passare. 

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RISORSE EXTRA

Insomma: da una parte le quattro giunte dem sparano a zero contro il ddl leghista. Dall’altra però sembrano non disdegnare di applicarne uno dei capisaldi. Così, anche se il risparmio lo fa lo Stato (e dunque le risorse extra in teoria dovrebbero andare a beneficio di tutti i cittadini italiani), i soldi in più se li tiene la Regione. 
Un passo indietro.

Il ricorso, come detto, nasce dalla previsione in legge di bilancio di “razionalizzare” la rete scolastica, sia per via del numero sempre più basso degli studenti, sia – secondo il ministero – per permettere alle scuole di accedere ai fondi del Pnrr. In che modo? Attuando quello che in gergo si chiama «dimensionamento»: ossia innalzando (dagli attuali 600 a circa 900) il numero minimo degli alunni sotto la responsabilità di ogni dirigente scolastico. Con la conseguenza che gli istituti più piccoli dovranno essere via via accorpati sotto un unico preside. «Nessun istituto verrà chiuso – ha rassicurato il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara – Il taglio coinvolgerà soltanto le dirigenze». 

Le regioni di centrosinistra, però, non ci stanno. E prima la Campania, poi anche Puglia, Toscana ed Emilia Romagna, ricorrono alla Corte Costituzionale contro i commi 557 e 558 della legge di Bilancio (l’Emilia include anche il 560 e 561), lamentando una “invasione di campo” del governo: l’organizzazione scolastica, accusano le quattro giunte a guida Pd, è competenza concorrente tra Stato e Regioni. Il timore, insomma, è che l’accorpamento degli istituti preluda a un’effettiva chiusura dei plessi. Ma proprio nel ricorso contro il comma 558 sta l’apparente contraddizione. Perché quel punto stabilisce che gli eventuali risparmi prodotti con il dimensionamento scolastico debbano restare di fatto in mano al ministero dell’Istruzione. Ed ecco la contestazione: come mai sono proprio le quattro Regioni a guida dem, contrarie all’autonomia differenziata di Calderoli, a non volere che fondi statali tornino allo Stato (che è proprio uno dei principi per cui i contrari alla riforma si battono)? 

LA REPLICA

«Non è così», replicano dalla giunta emiliana di Stefano Bonaccini. «Non è vero che vogliamo tenerci i fondi», è la linea: «Piuttosto, non accettiamo il principio per cui il ministero ci taglia le risorse su una materia fondamentale come la scuola, e poi vuole decidere come spendere gli eventuali risparmi senza neanche chiederci un parere». Un comportamento inammissibile: «Almeno, discutiamo di una proposta condivisa».
Stessa linea dalla Campania: «Non vogliamo tenerci i risparmi, ma solo garantire i servizi ed evitare le classi pollaio». E comunque «eventuali risparmi», fanno sapere dalla giunta di Vincenzo De Luca, «dovrebbero essere convertiti sul personale, che manca». Dalla Toscana, invece, dicono che il tema dei fondi non è stato oggetto del ricorso: «Non abbiamo mai chiesto indietro quei soldi», sottolineano dall’entourage di Eugenio Giani, spiegando che il motivo del contendere è un altro: «La scuola pubblica non può essere oggetto di tagli – la linea di Giani – Il dimensionamento ci porterebbe ad avere 40 presidi in meno, è evidente che porterebbe a un accorpamento degli istituti». Un timore diffuso. Così come quello sugli effetti negativi della riforma Calderoli. Che però, a volte, sembra cedere il passo al tornaconto.

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