Autonomia, fondi per colmare il divario tra Nord e Sud: che fine hanno fatto? Fermi da due anni

Inutilizzate le risorse già stanziate per strade, ferrovie, e scuole. Intanto si va verso lo spacchettamento di 23 materie

Autonomia, fondi per colmare il divario tra Nord e Sud: che fine hanno fatto? Fermi da due anni
Autonomia, fondi per colmare il divario tra Nord e Sud: che fine hanno fatto? Fermi da due anni
di Andrea Bassi
Lunedì 30 Gennaio 2023, 00:51 - Ultimo agg. 13:05
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Una nuova bozza. Quella che domani il ministro per gli Affari Regionali Roberto Calderoli porterà in preconsiglio, è la quarta in meno di tre mesi. L’autonomia differenziata sta diventando una sorta di tela di Penelope. Fatta e disfatta continuamente nel tentativo, velleitario, di accontentare più parti possibili tra quelle in gioco. Gli ultimi ad alzare la voce sono stati gli industriali per bocca del presidente Carlo Bonomi. Temono che “cedere” 23 competenze, comprese quelle sull’energia e sulle grandi reti di trasporto, possa far precipitare l’Italia in una babele di norme e di regole in grado di azzoppare qualsiasi investimento. Qual è la risposta a queste preoccupazioni? L’idea è di spacchettare le 23 materie chieste dalle Regioni in “sotto-materie”. Un pezzo di competenza allo Stato un altro pezzo alla Regione. Lo spezzatino dello spezzatino. Si rischia altra confusione. Ma i veri nodi da affrontare restano quelli economici. Non solo le differenze nella qualità dei servizi tra il Nord e il resto del Paese che rischiano di accentuarsi, ma anche le dotazioni di infrastrutture come strade, reti ferroviarie, reti idriche, ospedali. Divari che fino ad oggi nessuno ha davvero voluto colmare. 

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IL PASSAGGIO


Lo dimostra il caso del fondo per la perequazione infrastrutturale. Un “salvadanaio” con dentro 4,6 miliardi di euro da spendere in dieci anni per iniziare a colmare i divari tra il Nord, il Centro e il Sud nella dotazione di strade, autostrade, ferrovie, acquedotti, ospedali. Sono ormai due anni che quei soldi, pur lungamente insufficienti a recuperare anni di investimenti concentrati soprattutto al Nord, giacciono inutilizzati. Manca un Dpcm, un decreto del Presidente del consiglio che dovrebbe stabilire i criteri di riparto del fondo tra i vari territori e, a valle di questo, i decreti ministeriali che dovrebbero individuare i cantieri prioritari da aprire con queste risorse. Le conseguenze dei ritardi sono visibili e tutte certificate nell’allegato alle infrastrutture al Documento di economia e finanza, nel quale per la prima volta un capitolo è stato dedicato proprio ai divari territoriali.

Prendiamo le reti di distribuzione idrica. In Lombardia solo il 29 per cento dell’acqua che passa in una tubatura si perde per strada. In Abruzzo, Umbria e Lazio tra il 53 e il 55 per cento. In Sicilia e Sardegna siamo attorno al 50 per cento. In Sicilia, ricorda sempre l’allegato, ci sono ben 25 comuni senza fognature. 

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IL DOCUMENTO


Prendiamo l’edilizia scolastica. Il patrimonio italiano è costituito da 45 mila edifici che ospitano 7,4 milioni di studenti. In Campania, Lazio e Liguria il 70 per cento è stato costruito prima del 1976. Passiamo alla Sanità. In Lombardia ci sono 37.982 posti letto. La distanza con la seconda Regione, che è il Lazio, è enorme, oltre 17 mila posti. Se si prende come parametro il rapporto tra posti letto e numero di abitanti, si va da una media al Nord di 378 ogni centomila a una al Sud di 313. Nel Mezzogiorno la rete ferroviaria non elettrificata raggiunge valori del 43 per cento, contro il 23-24 per cento del Settentrione. L’ultima bozza della legge sull’autonomia prevedeva la creazione di un fondo per la perequazione dei divari tra Sud e Nord. Un fondo che dovrebbe tenere dentro i 4,6 miliardi mai spesi, i fondi europei della coesione territoriale e le risorse del Pnrr. L’idea è di semplificare le procedure di spesa. Potrebbe essere un passo avanti, ma rimarrebbe insufficiente. Primo, perché i soldi stanziati fino ad oggi per la perequazione infrastrutturale sono ampiamente insufficienti a colmare decenni di gap di investimenti nel Nord. Secondo perché aumentare la dotazione di infrastrutture non basta. Tutto va accompagnato da una “perequazione” della spesa corrente per adeguare i servizi.


Costruire un asilo non basta. Poi vanno assunte le maestre e il personale per gestirlo. Vanno finanziate le mense e i trasporti scolastici. Lo stesso vale per un ospedale. Di recente l’Ifel, la Fondazione sudi dell’Anci (l’Associazione dei Comuni), ha stimato che se si spende un miliardo di euro per gli asili nido, poi serviranno 250 milioni di spese correnti. Il nodo è esattamente questo. Definire attraverso i Lep, i livelli essenziali dei servizi, cosa si vuole garantire su tutto il territorio nazionale, non basta da solo a colmare i divari. Servono risorse finanziarie che, almeno fino ad oggi, nelle tre bozze di autonomia che precedono la quarta che sarà presentata domani, non si sono viste. 

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