Autonomia, l'Ue stronca la riforma: «Mette a rischio i conti pubblici e amplia i divari»

«Senza risorse difficile fornire stessi servizi ovunque»

Autonomia, la Commissione Ue: «La riforma mette a rischio i conti pubblici»
Autonomia, la Commissione Ue: «La riforma mette a rischio i conti pubblici»
Mercoledì 24 Maggio 2023, 16:53 - Ultimo agg. 25 Maggio, 12:47
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Il Re, si potrebbe dire, è nudo. L’autonomia chiesta dalle ricche Regioni del Nord non è un abito di seta e oro. E soprattutto non farà stare meglio le Regioni che oggi stanno peggio. Anzi, avverrà esattamente il contrario. A ribaltare il racconto autoassolutorio che da settimane viene portato avanti dai rappresentanti del Veneto e della Lombardia, è stata direttamente la Commissione europea. Che, guarda caso, ha usato le stesse motivazioni e gli stessi ragionamenti del Servizio del Bilancio del Senato. Ma questa volta sarà duro sostenere che dietro c’è una “manina” politica o che il documento non è «verificato», come era avvenuto nel caso dei tecnici di Palazzo Madama. Nelle sue “pagelle” di primavera, la Commissione europea spiega che l’autonomia, così come disegnata nel progetto Calderoli, «rischia di mettere a repentaglio la capacità del governo di indirizzare la spesa pubblica». E questo, dice Bruxelles, «potrebbe avere un impatto negativo sulla qualità delle finanze pubbliche italiane e sulle disparità regionali». 

IL PASSAGGIO
La Commissione in realtà dice anche di più.

E articola in modo dettagliato il suo ragionamento. Il punto centrale è questo: il disegno di legge Calderoli sostiene che l’autonomia sarà fatta a “costo zero” per lo Stato. Da qui la domanda centrale di tutta questa procedura: come si faranno a colmare i divari tra le regioni ricche e quelle povere se si dice che lo Stato non deve metterci nemmeno un euro? E soprattutto, come si farà a non aumentare questi divari se alle Regioni più ricche verrà data la possibilità di tenere il gettito fiscale maturato nel loro territorio? La Commissione europea, in realtà, aggiunge anche un altro elemento. Se si trasferisce una parte della spesa pubblica a livello locale, lo Stato rischia di perdere il controllo delle uscite che, per inciso, stanno per diventare il parametro centrale della riforma del Patto di Stabilità. L’Ue, insomma, la pensa come il Servizio del Bilancio. «Tutti», dice Mariolina Castellone, vice presidente del Senato del Movimento Cinque Stelle, «concordano su un passaggio, tanto semplice quando dirompente. Se il disegno di Calderoli, come scritto nel testo del ministro», spiega, «deve avvenire a invarianza finanziaria, cioè deve essere neutrale dal punto di vista della spesa pubblica, questo significa che non ci sono e non ci saranno i soldi per garantire davvero Livelli essenziali delle prestazioni in modo omogeneo su tutto il territorio nazionale. Ne consegue», prosegue Castellone, «che l’operazione non ha altro fine che approfondire le spaccature del Paese». Sul tema dei costi le audizioni sull’autonomia differenziata, che ripartiranno oggi al Senato, si arricchiranno di un’altra voce. È stato infatti deciso di convocare, come chiesto dal senatore del Pd, Andrea Giorgis, anche l’Upb, l’Ufficio parlamentare di Bilancio. 

GLI ESPERTI
Intanto iniziano a montare le polemiche per il “doppio ruolo” dei membri della Delegazione del Veneto che tratta con l’Italia la devoluzione delle 23 materie. Elena d’Orlando e Andrea Giovanardi, due dei super-tecnici del governatore Luca Zaia, sono stati nominati rispettivamente presidente e membro della Commissione tecnica sui fabbisogni standard. Si tratta di un organismo di vitale importanza anche per l’autonomia, perché decide i criteri con cui devono essere assegnati i soldi per i servizi sui vari territori. Nelle bozze di pre-intesa sull’autonomia, ancora pubblicate sul sito del ministero degli Affari Regionali, è scritto che i fabbisogni standard dovranno essere determinati tenendo conto «della popolazione residente» e del «gettito dei tributi maturato nel territorio regionale». Cosa significa? Che chi è più ricco deve ricevere più soldi e avere quindi servizi migliori. Proprio quel rischio di spaccatura, sempre negato, ma ormai rilevato da tutti gli organismi indipendenti. 
Contro il conflitto di interessi dei Zaia-boys si è scagliata la senatrice del Movimento Cinque Stelle Alessandra Maiorino. 

«Il fatto che i fedelissimi di Zaia», ha detto, «abbiano un piede in due staffe, aggiunge ulteriore allarme al percorso di una riforma disgregatrice che è stata stroncata dal Servizio bilancio del Senato e da diverse audizioni tecniche che si sono svolte. Un percorso», avverte Maiorino, «che va fermato con la massima urgenza».
 

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