Il Re, si potrebbe dire, è nudo. L’autonomia chiesta dalle ricche Regioni del Nord non è un abito di seta e oro. E soprattutto non farà stare meglio le Regioni che oggi stanno peggio. Anzi, avverrà esattamente il contrario. A ribaltare il racconto autoassolutorio che da settimane viene portato avanti dai rappresentanti del Veneto e della Lombardia, è stata direttamente la Commissione europea. Che, guarda caso, ha usato le stesse motivazioni e gli stessi ragionamenti del Servizio del Bilancio del Senato. Ma questa volta sarà duro sostenere che dietro c’è una “manina” politica o che il documento non è «verificato», come era avvenuto nel caso dei tecnici di Palazzo Madama. Nelle sue “pagelle” di primavera, la Commissione europea spiega che l’autonomia, così come disegnata nel progetto Calderoli, «rischia di mettere a repentaglio la capacità del governo di indirizzare la spesa pubblica». E questo, dice Bruxelles, «potrebbe avere un impatto negativo sulla qualità delle finanze pubbliche italiane e sulle disparità regionali».
IL PASSAGGIO
La Commissione in realtà dice anche di più.
GLI ESPERTI
Intanto iniziano a montare le polemiche per il “doppio ruolo” dei membri della Delegazione del Veneto che tratta con l’Italia la devoluzione delle 23 materie. Elena d’Orlando e Andrea Giovanardi, due dei super-tecnici del governatore Luca Zaia, sono stati nominati rispettivamente presidente e membro della Commissione tecnica sui fabbisogni standard. Si tratta di un organismo di vitale importanza anche per l’autonomia, perché decide i criteri con cui devono essere assegnati i soldi per i servizi sui vari territori. Nelle bozze di pre-intesa sull’autonomia, ancora pubblicate sul sito del ministero degli Affari Regionali, è scritto che i fabbisogni standard dovranno essere determinati tenendo conto «della popolazione residente» e del «gettito dei tributi maturato nel territorio regionale». Cosa significa? Che chi è più ricco deve ricevere più soldi e avere quindi servizi migliori. Proprio quel rischio di spaccatura, sempre negato, ma ormai rilevato da tutti gli organismi indipendenti.
Contro il conflitto di interessi dei Zaia-boys si è scagliata la senatrice del Movimento Cinque Stelle Alessandra Maiorino.
«Il fatto che i fedelissimi di Zaia», ha detto, «abbiano un piede in due staffe, aggiunge ulteriore allarme al percorso di una riforma disgregatrice che è stata stroncata dal Servizio bilancio del Senato e da diverse audizioni tecniche che si sono svolte. Un percorso», avverte Maiorino, «che va fermato con la massima urgenza».