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Scuola, mina Autonomia: stipendi diversi ai prof e programmi “spezzatino”

Assunzioni, si rischia una fuga al Nord. I sindacati: le retribuzioni vanno adeguate

Scuola, mina Autonomia: stipendi diversi ai prof e programmi spezzatino
Scuola, mina Autonomia: stipendi diversi ai prof e programmi “spezzatino”​
di Francesco Bechis
Articolo riservato agli abbonati
Lunedì 6 Febbraio 2023, 00:07 - Ultimo agg. : 11:27
4 Minuti di Lettura

È il terreno più scivoloso dell’autonomia differenziata. Una scuola regionalizzata. Stipendi, contratti, concorsi, assunzioni, programmi didattici. Su tutto questo, ora che la riforma autonomista della Lega ha mosso i primi passi, lo Stato italiano potrebbe non essere più l’unico ad avere voce in capitolo. Lasciando decidere alle Regioni se un professore di Brescia debba guadagnare più di un collega di Matera. Non proprio quella “separazione delle carriere” auspicata, in tutt’altro campo, dal governo conservatore. O ancora, scegliere se insegnare in classe, insieme all’Italiano, il dialetto veneto o il sardo. Nel menù del disegno di legge Calderoli c’è anche l’istruzione. Con buona pace del coro di voci che ha chiesto negli anni di lasciarla fuori dal novero delle materie à la carte che le Regioni - una volta firmata un’intesa bilaterale e blindata con il governo - possono richiedere per sé. 

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IL NODO RECLUTAMENTO

Andiamo con ordine. Tra i tanti punti critici della riforma che hanno messo sul piede di guerra i sindacati della scuola - la Flc Cgil ha già annunciato una mobilitazione generale contro «la frammentazione del diritto all’istruzione» - svetta il reclutamento degli insegnanti. Sarà la Regione, una volta siglata l’intesa, a decidere sugli stipendi dei professori? È più di un dubbio, a leggere il testo licenziato dal Cdm che sul punto tace. Se così fosse, il rischio di dar vita a un «calciomercato» dell’istruzione - chi paga di più, ha più insegnanti - non sarebbe una semplice boutade. Rino Di Meglio, presidente della Gilda degli insegnanti, non usa i guanti. Sarebbe «uno scenario orripilante», dice al Messaggero. «L’articolo 36 della Costituzione dice che la retribuzione deve essere proporzionata al lavoro svolto. Differenziare gli stipendi sarebbe dunque incostituzionale». Di più: «Darebbe vita a una migrazione di insegnanti dal Centro-Sud al Nord Italia. Desertificando le scuole di mezzo Paese». Inutili allarmismi? Non proprio, a scorrere i dati della dispersione scolastica da Roma in giù. Se la media nazionale è del 12,7%, svela un recente rapporto di Save the Children, in Sicilia raggiunge il 21,1% e in Puglia il 17,6%, mentre in Lombardia è all’11,3%.

Al Sud, un alunno su cinque ha accesso al tempo pieno, dati Svimez. Istantanee da un Paese a due velocità. E la riforma autonomista rischia di premere sull’acceleratore. Dal ministero dell’Istruzione, salvo proposte ardite - come quella appena accennata dal ministro Giuseppe Valditara, differenziare gli stipendi degli insegnanti a seconda del costo della vita nella Regione (è seguito un dietrofront) - arrivano rassicurazioni: il contratto nazionale non si tocca. Per ora. In attesa di garanzie concrete, resta l’ombra di una fuga verso Nord di professori e collaboratori scolastici in cerca di contratti (anche solo integrativi) migliori. Simile all’esodo dei “camici bianchi” che le associazioni di categoria dei medici denunciano come diretta conseguenza della riforma Calderoli sulla Sanità. Del resto nelle intese firmate dalle Regioni che nel 2017 hanno chiesto l’autonomia - Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna, cui il Ddl Calderoli si richiama esplicitamente - c’era il pacchetto completo. Assunzioni, concorsi, «fondi integrativi», appunto. 

I PROGRAMMI

Fin qui le incognite su assunzioni e buste paga. Poi c’è il nodo dei programmi scolastici. Sarà regionalizzata anche la didattica? Di nuovo, va fatta una tara tra le assicurazioni verbali - «lo escludo», ha detto a questo giornale la sottosegretaria di FdI Paola Frassinetti - e il testo della riforma che nulla vieta in merito. Tra i governatori del Nord irriducibili dell’autonomia, lo sguardo è da tempo rivolto ai banchi di scuola. Dal Veneto Luca Zaia, per dire, sogna un corso sulla storia della regione e della Serenissima nelle scuole superiori. Ora che la riforma leghista ha preso la via del Parlamento, lo spezzatino dei programmi scolastici non è più un tabù. Nonostante le tante remore espresse negli anni dagli addetti ai lavori. È il caso della commissione nominata dall’ex ministro delle Autonomie, Maria Stella Gelmini, che ha consigliato di escludere la scuola dal mazzo delle materie delegabili per evitare di dar vita a venti Regioni a statuto speciale. Dubbi riecheggiati ora dal mondo sindacale. «C’è uno zoccolo duro di materie, dall’Italiano alla Storia, che deve rimanere omogeneo nei curricula degli studenti», ammonisce Mario Rusconi, presidente dell’Associazione nazionale presidi (Anp) Roma, «restiamo in attesa delle specifiche». Insomma, sarà una scuola federale? La palla passa alle aule parlamentari. Dove la riforma transiterà, ma per un parere. Niente più.
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA
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