Spacca-Italia, stop del M5S: ignorati tutti i poteri della Commissione

Spacca-Italia, stop del M5S: ignorati tutti i poteri della Commissione
di Marco Esposito
Venerdì 15 Febbraio 2019, 07:00 - Ultimo agg. 08:00
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Cinquantasei articoli, con centinaia di commi definiti e altri ancora da scrivere. Ma a pesare davvero sono quattordici parole della preintesa. Queste: il fabbisogno standard di istruzione, sanità e di tutte le 23 materie che lo Stato cederà alle Regioni va calcolato «in relazione alla popolazione residente e al gettito di tributi maturato nel territorio regionale». Mai, nella storia della Repubblica, la capacità fiscale, cioè la ricchezza, si era tramutata in una misura di fabbisogno, al pari della popolazione. In passato non era così: per esempio il diritto di voto nel 1861 era riservato a maschi che pagavano almeno 40 lire all'anno di tasse. Cioè potevano votare 418.696 persone su 22 milioni di abitanti. Ma, quella, non era democrazia.
 
Con la Repubblica nessuno aveva mai immaginato che i tributi pagati potessero dare maggiori diritti. Anzi, la Costituzione è lì a sollecitare azioni per rimuovere quegli ostacoli economici che possono rendere difficoltoso per qualcuno l'accesso all'istruzione o alle cure sanitarie. Una storia di civiltà al vento, stracciata il 28 febbraio 2018 dal sottosegretario agli Affari regionali, il bellunese del Pd Gianclaudio Bressa, che ha messo la sua firma sotto quelle 14 parole, in accordo con il presidente del Veneto Luca Zaia e, poco dopo, con il presidente della Lombardia all'epoca Roberto Maroni e con il presidente dell'Emilia Romagna Stefano Bonaccini. La strada per l'autonomia sembrava in discesa. Dopo il voto del 4 marzo e la formazione del governo, i tre governatori, con Maroni nel frattempo sostituito dal collega di partito Attilio Fontana, invece del bellunese Bressa si sono trovati, con il compito di rappresentare l'Italia tutta, la vicentina Erika Stefani, leghista e convintissima che le richieste del Veneto e delle altre Regioni fossero tutte legittime. Dopo alcuni incontri cordiali, non restava che mettere giù una bozza d'accordo (una sorta di «vogliamo tutto» come negli slogan del 1968) e portarla in Consiglio dei ministri per la firma del premier Giuseppe Conte. La scelta della data era simbolica: il 22 ottobre, a un anno dai referendum consultivi di Lombardia e Veneto. Ma la festa è saltata per l'allarme lanciato da Gianfranco Viesti con l'appello contro «la secessione dei ricchi». E a quel punto ministri e ministeri, soprattutto a guida Cinquestelle, hanno deciso di vederci chiaro. Siamo arrivati al 15 febbraio e il testo non è ancora definito. Ma molti punti sono chiari e i rischi per la tenuta del Paese e quindi per il Sud restano elevatissimi. A partire dalla domanda chiave: chi decide?

Chi decide
È il punto più inquietante del testo. Tutto il sistema istituzionale - Parlamento, governo, magistrature contabili, organismi tecnici - viene sostanzialmente accantonato o relegato al compito di fornire un parere. Il potere decisionale è concentrato in una Commissione Paritetica Stato-Regione con nove rappresentanti designati dalla Stefani e nove designati dalla giunta del Veneto. Nella prima versione del testo i nove «nazionali» erano indicati dall'intero governo. Questa Commissione composta da diciotto persone espressione del medesimo orientamento politico «determina» entro 120 giorni dall'approvazione della legge risorse finanziarie, umane e strumentali da trasferire dallo Stato alla Regione. Il governo si limita a scrivere i decreti, sotto dettatura della Commissione, dopo aver acquisito sbrigativamente (entro 30 giorni) i pareri non vincolanti della Conferenza Stato-Regioni-Enti locali e delle Commissioni parlamentari. Sempre la Commissione Paritetica ha il compito di verificare ogni due anni che tutto proceda per il meglio, senza che al Parlamento, cioè agli italiani tutti, sia data neppure la possibilità di verificare cosa stia succedendo con l'autonomia.

Risorse
La frase di Bressa nell'ultima versione della bozza per pudore è stata cancellata. Ma resta il principio che i soldi da trasferire devono crescere rispetto alla situazione attuale. Entro un anno, infatti, vanno definiti i fabbisogni standard per i servizi assegnati, ma se si dovesse verificare che in qualche caso i servizi sono eccessivi rispetto allo standard nazionale, non si può tagliare. Stessa garanzia all'aumento senza possibilità di riduzione c'è per il gettito fiscale e il principio che il valore di risorse assegnate per ciascun servizio «non può essere inferiore al valore medio nazionale procapite della spesa statale», mentre può essere superiore.

Istruzione
Addio scuola statale. L'istruzione viene regionalizzata, il Veneto come la Lombardia (l'Emilia Romagna ha richieste molto più limitate) decide che formazione devono avere i propri docenti, così come definisce le esigenze d'organico. Il personale già in organico decide se restare statale o diventare regionale, con l'incentivo di un contratto integrativo regionale più favorevole. Come sarà finanziato? L'idea di Veneto e Lombardia è giocare sulla formula del costo medio nazionale, che consentirebbe di alzare la somma a loro disposizione, a danno del sistema scolastico nazionale. Oggi infatti i docenti al Nord sono mediamente meno pagati perché con minore anzianità media, una situazione che nulla ha a che fare con l'efficienza ma che gioca a favore di chi punta ad aumentare le entrate.

Sanità
Veneto e Lombardia conquistano la libertà di assumere personale dipendente a tempo determinato o indeterminato, nel rispetto dell'equilibrio di bilancio. Possono anche definire «forme integrative di finanziamento del servizio sanitario regionale», a carico degli assistiti. Si rischia un trattamento differenziato per chi è fuori regione.

Zone franche
Stato e Regione «assumono l'impegno congiunto di realizzare nuove Zone franche» o ridefinire, aumentandole, la superficie delle Zone franche esistenti. Si rischia una concorrenza sleale dei territori forti ai danni di quelli in ritardo di sviluppo.

Livelli prestazioni
I Lep sono un fantasma che aleggia più volte nel testo.

Spuntano per la prima volta in occasione del capitolo istruzione per dire «è attribuita alla Regione Veneto, nel rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni da garantire sul piano nazionale, la potestà legislativa in materia di norme generali sull'istruzione». I Lep non sono mai stati definiti né per l'istruzione né per nessun servizio pubblico: dal 2001 tocca al Parlamento indicarli con una legge, della quale non è mai stato preparato il testo. Cosa si fa in attesa dei Lep? La bozza d'intesa detta tempi stringenti (120 giorni, 30 giorni...) senza mai vincolare le scelte alla definizione dei Lep. Per esempio come si fa a calcolare il fabbisogno standard di istruzione in Lombardia e in Veneto se non c'è il livello essenziale di prestazione? Sarà uno dei, non pochi, nodi da sciogliere nelle prossime settimane.

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