Autonomia, Zaia avvisa il Sud:
«Aiuta a spendere meglio»

Autonomia, Zaia avvisa il Sud: «Aiuta a spendere meglio»
di Marco Esposito
Giovedì 7 Febbraio 2019, 09:21 - Ultimo agg. 8 Febbraio, 08:22
5 Minuti di Lettura
Presidente Zaia, come le sembra la proposta per l'Autonomia possibile degli Industriali di Napoli e della Federico II?
«Vi leggo un atteggiamento positivo - risponde Luca Zaia, dal 2010 presidente del Veneto - che parte dall'assunzione di responsabilità. In questa storia qualcuno al Sud si era arroccato in un atteggiamento di irresponsabilità. Adesso finalmente si dice che l'autonomia si può fare».

Si pongono però paletti importanti, perché la Costituzione va applicata integralmente, a partire dalla fissazione dei livelli di servizio da garantire in tutta Italia.
«Partiamo da un fatto: il centralismo ha penalizzato più il Sud del Nord. Avremmo dovuto costruire da subito un'Italia diversa, come auspicava nel 1949 un siciliano doc come Luigi Sturzo, che era per un paese unitario ma federalista. Del resto è nell'indole umana far sì che chi fa da sé fa per tre».

Fa per tre se le condizioni sono le medesime. Non in un sistema che assegna più diritti a chi è più ricco, non crede?
«Non è così perché la Costituzione assegna a tutte le Regioni, senza discriminazioni, la possibilità di chiedere maggiore autonomia. Su 23 materie come abbiamo chiesto noi, oppure su meno. La perequazione è nell'accesso».

La perequazione è nel riconoscere a ciascuno le risorse necessarie per avere servizi efficienti. Il nodo non è il desiderio di autonomia, è la volontà di avere più denari.
«Noi chiediamo le competenze e ovviamente con le competenze le risorse necessarie, ma fatti salvi i saldi».

Quindi rinuncia all'idea dei nove decimi di tasse che devono restare al Veneto?
«No, mi spiego: i nove decimi o giù di lì vengono dal trasferimento delle funzioni e delle risorse relative».
I nove decimi sono più di adesso, quindi lei chiede più soldi per fare le cose che oggi fa lo Stato in Veneto? 
«Voglio essere chiarissimo: nessuno verrà meno alla solidarietà. Oggi per esempio la sanità è già in gran parte regionale e la Campania come il Veneto riceve la sua quota di risorse. Poi però ci sono tanti campani che vengono a curarsi in Veneto e allora il problema non sono le risorse ma la capacità di spendere bene. Ecco: l'autonomia spingerà tutti a spendere meglio».

 

È normale che il Sud non si fidi. Il federalismo è stato applicato riconoscendo meno diritti ai territori con modesta capacità fiscale. A Treviso, che ha la metà degli abitanti di Reggio Calabria, è riconosciuto un fabbisogno per gli asili nido di quattro volte maggiore. La distorsione va corretta?
«Non è così. In Veneto la Costituzione, nella parte del diritto allo studio, non è proprio applicata. Senza le scuole paritarie, cui ogni anno la Regione riconosce 70 milioni di euro per sopravvivere, 90 mila bambini veneti resterebbero senza istruzione perché non esistono scuole pubbliche per accoglierli. E, peraltro, lo Stato risparmia ogni anno 200 milioni di euro. Il federalismo fiscale comunque non è mai stato applicato. Pur essendo previsti dalla Costituzione e dalla legge 42 del 2009 sul federalismo fiscale, i Lep sono rimasti lettera morta. Col nostro impegno andremo dunque ad attivare un meccanismo che interesserà tutte le Regioni positivamente. È di questo, dei Lep, che si ha forse paura?»

È d'accordo che, come chiedono industriali e Federico II, sia il Parlamento arbitro del processo di autonomia differenziata?
«La Costituzione, e non qualche opinionista, dice che l'Intesa fra Governo e Regione debba essere approvata o respinta senza possibilità di emendamento. Non si può andare contro la Costituzione, che prevede un rapporto pattizio fra esecutivo ed ente regionale, se non modificandola. L'Intesa col governo prevede comunque la costituzione di un tavolo paritetico fra Stato e Regione e un tagliando alla fine dei primi dieci anni di autonomia».

La Carta parla di legge scritta «sulla base» dell'intesa. Ma chiariamo un altro punto: l'accordo con il governo Gentiloni prevede fabbisogni sono maggiori dove c'è più gettito fiscale, quindi nelle aree ricche. Conferma o è un punto da correggere?
«Stiamo parlando di una preintesa firmata con Bressa, ma voglio ricordare che il principio era l'abbandono dei costi storici per andare ai fabbisogni standard. E già questo cambiamento farebbe risparmiare. Se tutta l'Italia avesse la virtuosità che hanno alcuni territori nella spesa pubblica avremmo 30 miliardi di risparmi che invece oggi vengono sprecati. Sarebbero 30 miliardi a disposizione del bilancio dello Stato».

Ancora non ha risposto in modo diretto sui Lep. È d'accordo che la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni sia contestuale al trasferimento di competenze?
«Sono d'accordo che le risorse non devono essere sprecate. Chiariamo peraltro un punto: senza voler generalizzare, è indubbio che a parità di trattamento alcune comunità del Sud, che hanno avuto in molti casi assai di più di quanto ricevuto da analoghe comunità del Nord, questi Lep non sono mai stati in grado di garantirli. La colpa non è certo dei cittadini, ma di una classe dirigente che ha voluto mantenere il popolo legato all'assistenzialismo, in un totale regime di mezzadria. Del resto, se oggi le cose vanno male al Sud una cosa è certa: non è colpa dell'autonomia di Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto, perché queste regioni l'autonomia non ce l'hanno».

Sulla lotta agli sprechi siamo d'accordo tutti. Ma la proposta di industriali e Federico II tocca un punto preciso. Ripeto: condivide la contestualità Lep-autonomia?
«Ripeto: se un territorio non ha livelli adeguati di servizio forse dovrebbe fare innanzitutto mea culpa. Ci sono regioni che hanno il doppio dei primari di altre e, ciò nonostante, una sanità mediocre. Non si possono rivendicare i Lep se nel frattempo si esportano malati o si ha personale in eccesso. Per il momento, alla Regione passerebbe sic et simpliciter la spesa storica per ogni singola competenza».

Per il momento... il problema è il punto di arrivo. Come si fa a trasferire una materia come l'istruzione senza stabilire quali siano i livelli di servizio da garantire ovunque?
«Vale quel che ho detto sugli asili nido: i Lep, lo ripeto, dovevano essere calcolati ma nessuno ha mai voluto introdurli. Lo faremo attraverso la nostra intesa e l'approvazione dei fabbisogni standard».
© RIPRODUZIONE RISERVATA