Una patente per colf, badanti e babysitter abbinata a una sorta di «certificato di qualità» che da un lato dovrebbe garantire l'affidabilità del lavoratore (in gran parte si tratta di immigrati) e dall'altro far emergere sacche di lavoro nero consentendo al Fisco di recuperare un gettito stimato sopra i tre miliardi di euro. Sono le nuove norme - ma sinora non è ancora chiaro se si tratti di una possibilità o un obbligo - ideate per il lavoro domestico. Secondo i dati di Assindatcolf (l'Associazione nazionale dei datori di lavoro domestico), e da Idos, il centro studi che ogni anno elabora il dossier statistico sull'immigrazione, il comparto del lavoro domestico in Italia coinvolge una platea di 2,5 milioni di famiglie, impiega complessivamente 2 milioni di addetti, il 70 per cento dei quali stranieri, e vale oltre 19 miliardi di euro l'anno (circa l'1,25% del Pil nazionale). E tuttavia, l'aspetto che colpisce ancora di più è che, dei 2 milioni di lavoratori impegnati a lavorare come colf, badanti o babysitter, 800mila sono regolari e per questo conosciuti all'Inps ma gli irregolari sono ben 1,2 milioni: sei su 10. Una situazione che provoca un mancato gettito alle casse dello Stato per 3,1 miliardi di euro.
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E così, in base alla norma Uni 11766 «Attività professionali non regolamentate - Assistente familiare: colf babysitter, badante - Requisiti di conoscenza, abilità e competenza», approvata il 12 dicembre 2019, colf, badanti e babysitter potranno accedere a un esame che certifica competenze, abilità e conoscenze professionali acquisite secondo standard europei. In effetti si tratta della stessa norma - la cui efficacia viene così estesa - già applicata per i lavoratori delle professioni sanitarie e socio-assistenziali regolamentate. Una patente di qualità che punta a correggere un grandissimo paradosso, il fatto che attualmente, benché il settore domestico rappresenti un motore economico e un vettore di inclusione sociale per le popolazioni migranti, non sia richiesta alcuna professionalità ai lavoratori che si occupano di bambini piccoli, anziani, malati o semplicemente della casa. La griglia dei test per poter ottenere la certificazione di qualità Uni prevede l'acquisizione di determinate competenze: avere una conoscenza di base della lingua italiana, aver partecipato a un corso di formazione nell'ultimo triennio di almeno 40 ore per il ruolo di colf e di almeno 64 ore per babysitter e badanti e infine aver lavorato per almeno 12 mesi - anche non continuativi - con un contratto in regola sempre negli ultimi tre anni. Per le badanti è prevista anche una sorta di prova supplementare tesa a dimostrare il possesso di alcune abilità come a esempio quella di garantire l'igiene della persona assistita in modo tecnicamente corretto, oltre alla capacità di cogliere i segnali di disidratazione e di intervenire in caso di necessità. La norma contiene anche nove regole di condotta (deontologiche) che i lavoratori domestici dovrebbero osservare, tra le quali la riservatezza su tutte le informazioni sensibili relative alla famiglia presso cui si lavora e la conoscenza di abiti comportamentali domestici, come a esempio la raccolta differenziata.
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La certificazione delle competenze inciderà - almeno in teoria - sulla retribuzione dei lavoratori domestici e sui minimi previsti dal Contratto collettivo nazionale del settore. Su questo le trattative (che riguardano anche l'obbligatorietà o meno della patente) sono ancora in corso. Il lavoro domestico è anche un importante veicolo di inclusione sociale e la valorizzazione della certificazione a livello retributivo con il riconoscimento dei permessi ai lavoratori per poter frequentare i corsi sarà ulteriore oggetto di trattativa in sede di rinnovo del contratto nazionale.
Badanti e colf, sì alla patente ma è già scontro sull'obbligo
di Lorenzo Calò
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Lunedì 3 Febbraio 2020, 07:00 - Ultimo agg. :
19:47
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