Biotestamento, il compromesso che non scioglie tutti i dubbi

di ​Alessandro Campi
Venerdì 15 Dicembre 2017, 09:43
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Intercettare le trasformazioni nelle sensibilità e nei modi di pensare, singoli e collettivi, comprendere ciò che le determina, è esattamente uno dei compiti della politica. Quando poi queste trasformazioni danno origine a comportamenti e azioni che investono la convivenza sociale, tradurle in leggi, cioè in regole condivise e vincolanti, diviene per i partiti e le istituzioni un preciso dovere. 

Ora, non c'è dubbio che negli ultimi anni nella società italiana era andata maturando una crescente attenzione per il tema del fine vita, posto all'attenzione dell'opinione pubblica da alcune vicende particolarmente drammatiche: da quella di Eluana Englaro a quella di Piergiorgio Welby, al caso più recente di Fabiano Antoniani-dj Fabo. Vicende che avevano finito per toccare la coscienza di molti cittadini e per creare una grande mobilitazione a livello mediatico ad opera soprattutto dell'agguerrita pattuglia radicale e delle associazioni di famigliari. E che alla fine hanno costretto il mondo politico ufficiale a interrogarsi su come intervenire per regolamentare il cosiddetto testamento biologico. 

Ne è nato un dibattito aspro e appassionato, inevitabilmente fonte di controversie filosofiche e dottrinarie (la libertà individuale coincide con l'autodeterminazione?), che però non ha quasi mai assunto i toni della crociata. Anche questo è un segno dei tempi. Diversamente che nel passato, non c'è stata alcuna spaccatura secondo linee confessionali o ideologiche. Il fronte non si è diviso tra laicisti e clericali. Tra destra e sinistra. Tra progressisti e conservatori. Le divisioni sono state trasversali. E sulle certezze, almeno a livello di dibattito, sono prevalsi i dubbi e gli interrogativi.

Lo stesso mondo cattolico, che pure in passato aveva sempre manifestato il timore che il biotestamento potesse rappresentasse una sorta di legalizzazione mascherata dell'eutanasia, alla fine ha assunto un atteggiamento di maggiore apertura e comprensione, ritenendo che la questione dell'accanimento terapeutico da evitare e il tema di una morte dignitosa e senza inutili sofferenze avessero un loro oggettivo rilievo etico e sociale.

È rimasta la contrarierà ufficiale della Cei, ribadita nuovamente ieri, con l'argomento che la vita nel suo momento germinale come in quello finale essendo uno dono rappresenta qualcosa d'indisponibile alla volontà umana e all'arbitrio individuale. Ma molti cattolici, nella società e ieri in Parlamento, hanno invece considerato che una disciplina normativa fosse più utile del fai da te alla ricerca di un posto dove morire, delle continue ingerenze della magistratura e della drammatica spettacolarizzazione (se non della vera e propria strumentalizzazione politica) cui abbiamo assistito in questi anni di vicende e situazioni che avrebbero meritato un trattamento pubblico più rispettoso, umano e delicato.

Dunque, giusto avere fatto una legge. Dimostrando altresì che il Parlamento ancora serve a qualcosa. Forse chi vuole abolirlo come inutile adesso un po' si ricrederà. Il problema è che le leggi, che sono un compromesso per definizione, possono riuscire più o meno bene. Quella votata ieri presenta in realtà almeno un paio di aspetti contraddittori e discutibili.

La prima questione riguarda il fatto che le dichiarazioni anticipate di trattamento, non esistendo un registro unico ufficiale che le raccolga, le conservi e le tuteli, rischiano di porre seri problemi in termini di privacy e persino di autenticità. Peraltro non si è nemmeno previsto l'obbligo di un colloquio preventivo con un medico che consenta a ognuno di vergare le proprie volontà sulla base di una corretta informazione scientifica (secondo la prassi che ormai si persegue ovunque in campo clinico).

Un secondo problema riguarda lo strano paradosso per cui le manifestazioni di volontà anticipate, per il fatto di essere considerate vincolanti e irreversibili, rischiano di non tenere conto dei possibili progressi in campo medico-scientifico. Decidiamo oggi non sapendo quello che sarà la medicina, e la sua capacità di cura, fra cinque o vent'anni. Il medico, par di capire, dovrà limitarsi a rispettare le volontà espresse e avrà margini d'intervento molto stretti.

Sono aspetti sui quali si sarebbe potuto lavorare di più. Ma forse ha pesato la fretta di una legge da portare a casa nel finale di legislatura e da poter sbandierare nella prossima campagna elettorale.

Vista la delicatezza della materia sul piano etico e sociale, non appaia fuori luogo una considerazione finale di natura più strettamente politica. La legge sul biotestamento comunque la si giudichi è passata grazie alla significativa convergenza tra Pd, M5S e la sinistra-sinistra oggi guidata da Pietro Grasso (col centrodestra che invece è andato in ordine sparso in nome della libertà di coscienza). Maggioranze trasversali ed eterogenee, quando si affrontano simili argomenti, sono ovviamente naturali. Ma il segnale politico non è da sottovalutare guardando a cosa potrà accadere dopo il voto della prossima primavera, quando si scoprirà che nessun partito ha i voti per governare da solo e bisognerà dare vita ad una alleanza o coalizione di governo.

L'ipotesi ad oggi più accreditata è quella di una convergenza parlamentare, resa necessaria dalla situazione di stallo politico nella quale ci troveremo, tra sinistra riformista (Renzi) e centro liberal-riformatore (Berlusconi). Ma ricordiamo come è cominciata questa legislatura: col tentativo d'accordo tra Bersani e Grillo. Finito malissimo, come sappiamo, ma era davvero un'altra epoca, coi grillini appena entrati nel Palazzo e la cui unica preoccupazione era non lasciarsi contaminare dalla vecchia politica (era l'epoca in cui non andavano nemmeno in televisione per paura di omologarsi e in cui chiedevano la diretta per qualunque incontro o discussione con gli avversari). Il loro atteggiamento odierno è molto più pragmatico e realistico, come è sicuramente cresciuta la loro voglia di contare e decidere visto il largo consenso che ormai attraggono. Con la sinistra, sui temi etici come abbiamo appena visto, ma anche su quelli economici e sociali, esistono molte possibili convergenze, sufficiente a creare un programma minimo per governare insieme. Specie se Renzi si troverà a dover subire il condizionamento del nuovo partito nato alla sua sinistra. Insomma, il voto di ieri potrebbe essere stato un precedente politico e non solo un evento occasionale.
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