Bonaccini, il regista dell’intesa regioni-governo e i due libri per festeggiarsi

Bonaccini, il regista dell’intesa regioni-governo e i due libri per festeggiarsi
di Mario Ajello
Lunedì 18 Maggio 2020, 16:53 - Ultimo agg. 19 Maggio, 08:09
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“Stefano, sei stato molto bravo”. Gli dicono direttamente da Palazzo Chigi. E dal Nazareno, la sede del suo partito, cioè di Bonaccini, presidente Pd della conferenza delle Regioni, oltre che della Emilia Romagna, parlano così: “Grazie a lui, alla sua capacità di mediazione, alla pazienza e al buon senso che ha usato in tutte le fasi, i governatori leghisti non sono insorti  contro il governo e quelli del Sud, De Luca a parte, hanno firmato insieme a tutti gli altri l’intesa per la fase 2”.

Che ha avuto in Bonaccini uno dei registi. E lui, il piddino che riuscì a fine gennaio a battere un lanciatissimo Salvini e a tenere l’Emilia Romagna a sinistra, celebra così il suo magic moment, sia pure in una fase difficile per il Paese: pubblicando due libri. Uno è un e-book sull’emergenza Covid (“Il virus si deve battere”). E  l’altro è il riassunto del suo metodo politico. S’intitola “La destra si può battere” (Piemme editore). In questo volume si leggono cose così, che partono sempre dalla vittoria elettorale di Bonaccini nella sua regione ma si allargano al resto dell’Italia: la sinistra può vincere “scegliendo una strada fatta di proposte e di idee, senza la supponenza di chi osserva dall’alto e senza la subalternità di chi rincorre l’avversario. La destra si può battere innanzitutto usando un linguaggio diverso, parlando e non urlando, scegliendo il confronto e non lo scontro, lasciando la destra sola sul ring delle provocazioni e delle strumentalizzazioni”. 

Bonaccini è quello che, come gli riconosce anche il governatore leghista del Veneto, Luca Zaia, con cui ha condiviso in queste fasi difficili l’approccio pragmatico nel negoziato tra Regioni e governo e per la ripartenza, condivide priva continuamente ad andare oltre le polemiche che ogni giorno si consumano nei palazzi delle istituzioni e sulla stampa. E infatti nel libro si racconta così: “Nei primi cinque anni da presidente regionale ho provato a mettermi dentro o accanto ai problemi, restituendo alla politica la funzione che le è propria, di risoluzione e non di analisi (come troppo spesso fa la sinistra) o di megafono (come troppo spesso fa la destra). Ribaltando la prospettiva di questo tempo, che vede troppe ricette calate dall’alto e troppa classe dirigente, compresi osservatori e commentatori, mettersi sopra”. E ancora: “Un passo avanti serve alla politica e  anche al mio partito. Il Pd deve avere un’identità più netta, che passi per alcune parole chiave che lo definiscano. Deve aprirsi alla società, accogliere le competenze migliori che fuori ci sono, a partire dai territori. E questo vuol dire demolire le liturgie che non rispondono più al tempo presente al pari delle correnti interne che non organizzano più un pensiero ma solo destini personali. Vuole anche dire smetterla di auto-ascol- tarsi parlando solo a se stessi”. Diagnosi azzeccata. 

“Io non mi accontento - incalza Bonaccini -  di un Pd fra il 20 e il 25 per cento, perché dentro questi numeri non ci sarà mai la chiave per guidare la trasformazione necessaria al Paese  e alla società. Ripeto spesso che sogno una classe dirigente che quando entra in un bar sappia parlare con chi ha di fronte; che è cosa molto diversa da fare discorsi “da bar” ma anche “da salotto televisivo”. Significa mettersi all’altezza degli occhi delle persone e in sintonia con i loro problemi”. 

Che poi il Pd riesca a fare tesoro di questa lezione di metodo, è tutto da vedere. Ma intanto Bonaccini è cresciuto di peso a livello nazionale e un Paese  a corto  di classe dirigente non può che valorizzare il poco che ha.
 

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