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Carfagna: «I beni delle mafie per aiutare le donne a uscire dall’incubo»

Carfagna: «I beni delle mafie per aiutare le donne a uscire dall incubo»
Carfagna: «I beni delle mafie per aiutare le donne a uscire dall’incubo»
di Cristiana Mangani
Articolo riservato agli abbonati
Mercoledì 24 Novembre 2021, 07:00 - Ultimo agg. : 10:10
5 Minuti di Lettura

Ogni giorno viene uccisa, picchiata, violentata, una donna: sono 103 gli omicidi commessi nel 2021. E quattro volte su dieci a morire sono le mogli, le compagne, le colleghe di lavoro, le amanti.

Ministro Mara Carfagna, i femminicidi continuano a crescere, nonostante l’Italia sia dotata di buone leggi, cosa non funziona nel sistema di protezione alle donne?
«Non funziona il sistema di prevenzione. L’importante lavoro svolto dalla Commissione d’inchiesta sul femminicidio ci ha dato in proposito dati chiari: il 63 per cento delle donne uccise in un biennio non ha nemmeno denunciato le violenze che hanno preceduto l’attacco mortale; molte tra quelle che hanno denunciato si sono trovate pressochè sole a gestire la situazione».

APPROFONDIMENTI
Femminicidi emergenza sociale, donne sempre più sole: il 63% nasconde le violenze
Il (triste) record del 2021: una vittima ogni tre giorni
400 euro al mese alle vittime ma in aula ci sono solo otto deputati

Di fronte a questa realtà, esistono soluzioni possibili?
«Bisogna rafforzare tutta la catena di interventi che precedono gli atti estremi di aggressione, mettere i violenti in condizione di non nuocere, offrire maggiore ascolto e protezione alle donne».

Lei ha annunciato una specifica misura di promozione per i centri anti-violenza e le case rifugio nel Mezzogiorno. Di che si tratta?
«Abbiamo varato proprio ieri, d’intesa con il ministro Elena Bonetti, un bando che “vale” 300 milioni provenienti dal Piano nazionale di ripresa: finanzierà opere di ricostruzione, ristrutturazione o adeguamento degli immobili requisiti ai clan, che potranno così essere restituiti alla collettività. E nell’ambito delle possibili destinazioni d’uso, ai fini della graduatoria finale, abbiamo deciso di premiare con un punteggio aggiuntivo i progetti destinati a creare all’interno degli edifici centri anti-violenza per donne e bambini o case rifugio, oppure ancora asili nido o micronidi. Prevediamo 200 interventi e personalmente spero che i Comuni del Sud ne approfittino per offrire un servizio essenziale a migliaia di cittadine meridionali che non hanno uno “sportello” qualificato a cui rivolgersi se subiscono violenza o stalking. Il Mezzogiorno può usare il bando per riappropriarsi non solo di beni materiali ma anche di diritti: è questa la visione che voglio sostenere».

Perché non si riesce a garantire la giusta tutela alle vittime di violenza?
«Vedo innanzitutto un enorme problema culturale. Le Questure ci dicono che ogni singolo giorno 89 donne subiscono e denunciano atti di violenza, nel 62% dei casi in famiglia. È una gigantesca emergenza, ma non viene percepita come tale. Dietro i numeri ci sono persone che spesso rischiano la vita, non solo donne ma anche bambini. Se statistiche del genere riguardassero rapine, terrorismo, mafia, avremmo pool specializzati ovunque per difendere le vittime. Bene ha fatto il presidente Draghi a definire la difesa delle donne “una priorità”. Lo è, e dobbiamo tutti comportarci di conseguenza».

Il ministro Lamorgese ha annunciato ieri che si sta lavorando per rafforzare ancora di più le norme contro la violenza, quali le modifiche?
«È in corso una interlocuzione tra diversi ministeri competenti – Interni, Giustizia, Pari Opportunità, Affari Regionali e Sud - basata su una certezza condivisa: sul fronte della prevenzione di atti estremi come gli omicidi è possibile fare molto di più. Per una coincidenza senza precedenti tutti i ministeri interessati in questo momento sono guidati da donne: siamo nella condizione ideale per agire con efficacia, e lo faremo. Non possiamo dire alle donne “denunciate” e poi lasciarle sole. Tra le misure che, a mio giudizio, meritano un’applicazione più estesa c’è il braccialetto elettronico e i miei uffici stanno lavorando per individuare fonti di finanziamento nell’ambito del Pon Legalità (un programma finalizzato a incrementare la diffusione della legalità)».

In questi giorni il suo ministero sta bandendo un nuovo finanziamento per le aree del Centro Italia colpite dal terremoto, a cosa è finalizzato e quale è lo stanziamento?
«Il bando uscirà la settimana prossima, ed è uno degli interventi a cui tengo di più: assegna 60 milioni di euro in tre anni per attività di formazione e ricerca nei territori colpiti dagli eventi sismici del 2016-2017. Ciascuna delle quattro regioni interessate, Abruzzo, Lazio, Marche e Umbria, sarà destinataria di 5 milioni l’anno dal 2021 al 2023 per la creazione o il potenziamento di centri di ricerca, oppure per l’ampliamento dell’offerta formativa universitaria. Associato al Contratto di Sviluppo che ho attivato, del valore di 160 milioni, punta a creare le condizioni perché l’area del terremoto torni non solo a sopravvivere ma a vivere, offrendo una prospettiva diversa dall’emigrazione a migliaia di giovani che, dopo la pandemia, stanno decidendo dove costruire il loro futuro».

Di recente, i sindaci delle città del Mezzogiorno hanno lanciato un allarme: senza le competenze necessarie le regioni del Sud potrebbero non essere in grado di gestire i fondi del Pnrr. In che modo il governo pensa di intervenire?
«Siamo già intervenuti con numerosissimi sostegni alle capacità di progettazione dei Comuni. Li spiegherò personalmente ai sindaci, ai corpi sociali, all’impresa, all’università nell’evento della campagna “ItaliaDomani”, fissato per il primo dicembre a Napoli. La campagna è stata organizzata da Palazzo Chigi e toccherà oltre venti capoluoghi italiani proprio per illustrare ai territori gli strumenti a disposizione e rispondere alle domande di chi deve utilizzarli. Il Pnrr è una macchina complessa, ma chi la guida a livello regionale e comunale avrà tutti gli strumenti per farla correre veloce». 

© RIPRODUZIONE RISERVATA
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