Questione di percentuali. Ma pure di destini personali. A quindici giorni dalle elezioni, nelle segreterie di partito si fanno i conti. E si fissano le asticelle. Perché se a parole tutti dicono che l'obiettivo è uno soltanto («vincere»), molto, per determinare gli equilibri del futuro governo e definire le prospettive dei leader, conteranno i rapporti di forza. In altre parole: il risultato che ogni lista, da sola, riuscirà a strappare alle urne.
Elezioni, la sfida nel centrodestra
Un ragionamento che riguarda tutti gli schieramenti in campo. Ma che in queste ore si ripete più di frequente soprattutto nei tre partiti del centrodestra, la coalizione indicata dai sondaggi (almeno fino a ieri) come la più vicina alla conquista di Palazzo Chigi. Perché se è vero che il traguardo è per tutti lo stesso (appunto, «vincere»), i singoli obiettivi di Fratelli d'Italia, Lega e FI divergono.Anche di molto.
Silvio Berlusconi
A cominciare dal partito di Silvio Berlusconi. Che per sopravvivere ai molti consensi che si annunciano in uscita in favore dei competitor interni, deve ottenere almeno un traguardo minimo. Ossia: fare in modo che Lega e FdI non vincano da soli la maggioranza assoluta dei seggi del nuovo parlamento. Uno scenario che da FI non ritengono plausibile. Ma che a guardare le tendenze dei sondaggi non sembra così remoto. Per farlo, la creatura del Cavaliere ha bisogno - si fanno i calcoli in FI - di ottenere un risultato che non sia troppo sotto al 10%. Sarebbe pur sempre un calo, rispetto al 14 incassato quattro anni fa, ma consentirebbe al partito azzurro di rendersi indispensabile in un futuro governo di centrodestra. L'altro obiettivo, altrettanto prioritario per FI, è vincere il derby con il Terzo polo, accreditato da alcuni sondaggi di percentuali non dissimili da quelle dei forzisti (in una forbice tra il 7 e l'8 per cento). La sfida è aperta.
Matteo Salvini
E Salvini? Archiviati i "fasti" dell'estate 2019, quando il Carroccio veniva dato a percentuali oltre il 30%, oggi il leader leghista potrebbe accontentarsi di andare vicino a quel 17% ottenuto nel 2018, che per la Lega fu comunque un boom rispetto al passato. I sondaggi oggi lo accreditano attorno al 12-13, appaiato con M5S (che dalla parti di via Bellerio si punta a sopravanzare). Se gli ex lumbard finissero sotto quella soglia, pericolosamente vicini (o sotto) al 10, non è escluso che nel partito possa aprirsi una resa dei conti. Guidata, dicono i rumors, dal fronte dei governatori, Luca Zaia in testa, che poco hanno apprezzato la scelta di staccare la spina al governo Draghi. Ma Salvini gioca una partita doppia: più che il risultato nazionale, infatti, molto per il futuro della segreteria dell'ex ministro dell'Interno dipenderà dalla performance nelle ex roccaforti verdi del Nord. A cominciare proprio dal Veneto. Perché se FdI dovesse surclassare la Lega anche nei suoi fortini settentrionali, non è escluso che nel partito possa suonare forte la carica dei malpancisti, a partire dal 26 settembre. E qualcuno, nel Carroccio, potrebbe essere tentato dal chiedere la testa del segretario federale.
Giorgia Meloni
Molto più in discesa la corsa di Giorgia Meloni. Qualunque risultato otterrà la leader di FdI, difficilmente potrà fare meno del 4,3% del 2018. Sopra il 20%, come la accreditano tutti i sondaggi, sarebbe già vittoria. Sopra il 25, una vittoria molto larga. Se poi ci si avvicinasse a quota 30, un trionfo. Che con ogni probabilità farebbe prenotare a FdI tutte le caselle più pesanti di un futuro esecutivo. Ma in via della Scrofa si guarda anche al risultato degli alleati. E non senza preoccupazione. Perché per avere la (quasi) certezza di essere indicata come prossimo premier, Meloni dovrà poter contare su una maggioranza solida. Che potrebbe rivelarsi difficile da raggiungere se i consensi dei compagni di viaggio Salvini e Berlusconi si ridurranno troppo. Perché sì, l'obiettivo resta uno: vincere. Ma è anche come si vince che può determinare il percorso della prossima legislatura.