Cina-Italia, dai porti al 5G fino agli aerei Atr: tutti i dossier (e i nodi) economici tra Roma e Pechino

A più di cento giorni dall'insediamento del governo Meloni​ la nebbia è fitta sul prossimo corso dei rapporti tra l'Italia e il suo più grande (e ingombrante) partner asiatico

Non solo Via della Seta, dai porti al 5G: tutti i dossier (e i nodi) economici tra Roma e Pechino
Non solo Via della Seta, dai porti al 5G: tutti i dossier (e i nodi) economici tra Roma e Pechino
di Francesco Bechis
Sabato 18 Febbraio 2023, 19:23 - Ultimo agg. 20:38
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Quanto è vicina la Cina? A più di cento giorni dall'insediamento del governo Meloni la nebbia è fitta sul prossimo corso dei rapporti tra l'Italia e il suo più grande (e ingombrante) partner asiatico. La visita a Roma di Wang Yi, Consigliere di Stato e capo della diplomazia cinese, il suo bilaterale con l'omologo Antonio Tajani e il presidente della Repubblica Sergio Mattarella hanno riacceso i riflettori sulla salute dei rapporti tra Roma e Pechino.

La guerra russa in Ucraina ha messo apparentemente in secondo piano la delicata questione di come gestire gli affari e gli investimenti cinesi nello Stivale senza minare la fiducia del più grande alleato italiano e il rivale numero uno di Pechino, gli Stati Uniti di Joe Biden. Intanto però qualcosa si muove

LA VIA DELLA SETA

Sul tavolo della diplomazia italiana il dossier più scottante si chiama Via della Seta. Siglato il memorandum di adesione nel marzo del 2019 con il governo Conte-uno - primo Paese G7 a rompere i ranghi - l'Italia dovrà decidere entro dicembre se rinnovare o meno gli accordi della Belt and Road Initiative.

Diciannove intese istituzionali, dieci commerciali firmati quattro anni fa a Villa Madama sul tappeto rosso che ha accolto il presidente cinese Xi Jinping.

Un pacchetto che sulla carta, annunciò allora il governo gialloverde, valeva 7 miliardi tra impegni sul fronte energetico (tra le aziende coinvolte Eni, Snam, Ansaldo) agli investimenti nei porti, nelle telecomunicazioni e nel turismo. Sulla carta, però, sono rimasti in gran parte, complice il pressing diplomatico degli Stati Uniti che hanno chiesto di fare dietrofront e allentare i rapporti con il rivale asiatico. La palla ora è nel campo italiano: Palazzo Chigi ha dieci mesi per decidere se optare per una plateale retromarcia (improbabile), rinnovare i patti senza clamore o cercare un (probabile) compromesso rinnovandone solo alcuni

IL NODO 5G

Tra i punti critici dei patti per la Belt and Road il riferimento, inserito nel memorandum del 2019, alla cooperazione nel mondo delle telecomunicazioni. Il pomo della discordia, qui, si chiama 5G: da anni un fronte bipartisan della politica americana chiede agli alleati europei di tenere fuori dalla rete di quinta generazioni le aziende cinesi accusate dagli Usa di spionaggio industriale. Il rischio, lamentano le agenzie di intelligence d'Oltreoceano (e l'agenzia per le telecomunicazioni FCC che ha messo al bando le cinesi Huawei e Zte) è che i fornitori cinesi, su pressione del governo centrale, potrebbero captare e utilizzare i dati che corrono sulla retr 5G.

Un invito riecheggiato in un rapporto del Copasir - il comitato parlamentare di intelligence - del dicembre 2019 con la richiesta esplicita, rimasta finora disattesa, di tenere fuori le compagnie cinesi dalle gare per la rete 5G. La questione è spinosa: quasi tutta l'infrastruttura 4G in Italia - su cui deve essere montata la tecnologia 5G - è in mano a fornitori cinesi. In questi ultimi anni, i governi italiani, da Conte a Draghi, hanno optato per una via di mezzo: rafforzare lo strumento del golden power - i poteri speciali di Palazzo Chigi per frenare o modificare un'acquisizione o un investimento - estendendone il perimetro al fronte tecnologico. A questo scopo è deputata anche l'Agenzia per la cybersicurezza nazionale (Acn) inaugurata un anno fa. 

PORTI APERTI?

Altro nodo intricato della rete economica cinese in Italia: gli investimenti nei porti. Oggi la Cina è presente in diverse infrastrutture portuali italiane. E' il caso di Vado Ligure, dove la Cosco (il colosso che nel 2016 ha acquistato la maggioranza del porto greco del Pireo) ha investito 53 milioni di euro ottenendo il 40% del porto, mentre un altro 9,9% è stato ceduto alla competitor cinese Qingdao. Accordi di cooperazione sono stati siglati inoltre tra le Autorità portuali di Trieste e Genova con il gruppo cinese China Communications Construction Company (CCCC), tra le più grandi imprese mondiali del settore delle infrastrutture.

Come per il 5G, anche gli investimenti nei porti hanno un riflesso di sicurezza all'attenzione del comparto intelligence e della diplomazia americana. Che all'Italia in questi anni ha più volte espresso dubbi sull'opportunità di cedere pezzi di infrastruttura portuale a colossi di Stato cinesi o aziende che con questi collaborano. Ha suscitato clamore, ad esempio, la cessione di un terminal del porto di Taranto al Gruppo Ferretti, da più di dieci anni in mano ai cinesi di Weichai Group, per la vicinanza dello scalo a una base della Nato sulle coste tarantine. 

I DOSSIER ECONOMICI

Al di là dell'intesa politica e della Via della Seta - fra l'altro, il governo Meloni dovrà decidere se aderire (come ha fatto il governo francese) al Belt and Road Forum che Xi Jinping vuole organizzare per il 2023 - resta una solida connection finanziaria ed economica tra Roma e Pechino sulla scia di accordi siglati negli scorsi anni, ben prima del memorandum della discordia. Secondo il ministero cinese del Commercio, tra gennaio e agosto dello scorso anno, nel mezzo della guerra russa in Ucraina, gli investimenti cinesi diretti non finanziari in Italia sono aumentati, nei primi tre trimestri del 2022 e il volume degli scambi ha sfiorato quota 60,5 miliardi di dollari (+13,3%).

IL PATTO SUGLI AEREI

Tra i dossier più recenti, l'accordo annunciato da Xi nel suo bilaterale con Giorgia Meloni al G20 di Bali di novembre per l'acquisto da parte cinese di 250 aerei Atr entro il 2035. Di proprietà italo-francese (Leonardo ed Airbus) i velivoli a turboelica sono prodotti in Campania, negli stabilimenti di Pomigliano d'Arco. Tra gli investimenti cinesi più rilevanti nel tessuto finanziario italiano da citare c'è senz'altro l'acquisto del 2015, da parte del colosso di Stato State Grid Corporation, del 35 per cento di CDP Reti, la società del gruppo Cassa Depositi e Prestiti che gestisce investimenti partecipativi in aziende come Terna, Italgas e Snam. Ma anche l'acquisto (da 8 miliardi di dollari) del 37 per cento della Pirelli da parte dei cinesi di ChemChina, poi fusa in Sinochem: in questi giorni si sono fatti insistenti i rumors di una loro fuoriuscita dalla multinazionale milanese. 

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