Il bivio delle Comunali: la doppia sfida di Salvini, le ambizioni di FdI, i nodi dell'alleanza Pd-M5S

Il bivio delle Comunali: la doppia sfida di Salvini, le ambizioni di FdI, i nodi dell'alleanza Pd-M5S
Il bivio delle Comunali: la doppia sfida di Salvini, le ambizioni di FdI, i nodi dell'alleanza Pd-M5S
di Ernesto Menicucci
Domenica 5 Giugno 2022, 00:11 - Ultimo agg. 10:06
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Sette leader, sette sfide, sette destini incrociati. Tutto in un solo appuntamento elettorale, le comunali del 12 e 26 giugno. Con una postilla. In particolare per Salvini le partite sono doppie. Intanto c’è quella del referendum sulla giustizia, cavallo di battaglia del leader del Carroccio che sui quesiti ha spinto molto, più di tutti gli altri. Poi perché Salvini, sotto al fuoco di fila delle polemiche sulle posizioni filo-russe, ha sia il fronte “esterno” (quello della competition nel centrodestra con Giorgia Meloni) che quello interno a via Bellerio, dove alcuni “colonnelli” leghisti pare che non aspettino altri che un altro passo falso del leader. Poi c’è tutto in resto, che si può così sintetizzare: le comunali sono il primo passo della scomposizione (e ricomposizione) dello scacchiere politico italiano, iniziato – almeno in parte – nel gran ballo del Quirinale. Un movimento, vedremo se più o meno tellurico, che ci porterà dritti alle Politiche del 2023.

(Schede a cura di Mario Ajello)

Giorgia Meloni

La possibile consacrazione verso l’ascesa a palazzo Chigi

Queste comunali sono per lei ciò che sono state le ultime europee per Salvini. Devono consacrare le nozze tra l’Italia e il nuovo astro della politica. Naturalmente, vedi appunto Salvini ma anche il caso Renzi, si possono stravincere elezioni non politiche e poi dilapidare il successo al momento buono. E comunque: per Giorgia la partita è diventare, non più nei sondaggi ma nei voti reali, il primo partito della coalizione, prenotare la premiership e confermare, con la scorta dei consensi, che la linea dell’«opposizione patriottica», dell’atlantismo e della coerenza nel rifiutare ogni accordo di Palazzo, è quella giusta per diventare la prima donna capo del governo italiano. Per fare questo, serve che Fdi vinca a L’Aquila con il suo candidato sindaco (guarda caso è in questa città che Giorgia conclude la sua campagna elettorale), che superi e bene la Lega a Palermo (conquistando per Musumeci la candidatura a governatore bis che Salvini e Berlusconi non vogliono), che a Catanzaro contro i forzaleghisti la spunti la sua candidata e via dicendo.

Spetta alla Meloni insomma trainare se stessa e la sua coalizione. Se non ce la fa, significa che i sondaggi di gradimento personale e di partito fanno acqua e che, dal 13 giugno, la mattanza nel centrodestra sarà ancora più terribile di quella vista finora e che tutti quelli che si stanno riciclando (vedi la Rai) in direzione Giorgia dovranno pensarci un po’ meglio.

Enrico Letta

La battaglia dem per il Nord pensando già alle Politiche

Dice: «Partiamo svantaggiati». Ovvero: dà per perse sia Palermo che Genova, che sono le vedette di queste comunali. Però, chiude la campagna elettorale a Lodi, Lombardia purissima, dove spera di vincere con un candidato 24enne e di avvertire il centrodestra: il Nord non è vostro. Non solo. S’insinua nella spaccatura tra FdI e Lega da una parte e FI dall’altra, a Verona: se al ballottaggio insieme all’ex calciatore grillo-dem-calendista Damiano Tommasi va il sindaco uscente Sboarina (meloniano ma con placet salviniano e proveniente dal Carroccio) i berlusconiani in odio a lui al secondo turno andranno su Tommasi. E se al secondo turno va invece Tosi (che ha anche Renzi con lui oltre ai forzisti), gli altri di centrodestra faranno il dispetto di votargli contro. Bella partita. A squadre miste e confuse. 18 dei 26 capoluoghi di provincia al voto sono di centrodestra. Letta punta a strapparne due o tre (e a tenere per esempio Parma che dopo l’ex grillino Pizzarotti può finire a sinistra o Taranto dove è in vantaggio Melucci uscente di sinistra o L’Aquila) e nel caso il gioco è fatto. Ma soprattutto, l’Enrico gode nel vedere come si scanneranno FdI e Lega a partire dal giorno del verdetto e spera nella semplificazione: stravince Giorgia e io me la vedrò con la mia «carissima nemica» nel 2023.

Matteo Salvini

In un colpo solo si gioca tutto: coalizione e guida della Lega

Si gioca tutto in queste comunali. La leadership del centrodestra e la guida della Lega. La questione è semplice: se nei voti di lista nelle città del Nord – occhio a Genova, a Verona, ad Alessandria, a Padova, a Monza e si potrebbe continuare con i municipi del Mezzogiorno – Fratelli d’Italia supera il Carroccio, le conseguenze saranno due. La prima: Giorgetti e i giorgettiani, ovvero i governatori Zaia e Fedriga (Fontana meno di loro) e tutto il resto dei governisti e degli allibiti (quelli del: ma è mai possibile avere un leader che tresca con Putin e infastidisce Draghi unica garanzia per il mondo produttivo settentrionale in una fesa di crisi e di Pnrr come garanzia di vita), dopo tanta prudenza saranno disposti a mettersi in gioco. Non tanto per scalzare dal comando un leader indebolito ma per condizionarlo: le liste per le politiche del 2023 le fai tu? Neanche per sogno: le facciamo noi o le facciamo insieme. Seconda conseguenza: Meloni uber alles e Salvini costretto, a meno di un anno dalla fine della legislatura, a far saltare il governo per non far saltare se stesso prima del voto della prossima primavera. Chi sostiene, assurdamente, che queste comunali  non incidono sulla politica nazionale, pensi per un attimo alla condizione di Salvini. Il quale è il primo, a questo giro, a giocarsi l’osso del collo.

Giuseppe Conte

La missione impossibile di tenere in vita i grillini

Si sta agitando moltissimo.  Gira l’Italia. Prova a riempire le piazze ma non ci riesce. Chiuderà a Taranto, nella sua regione, ma l’impresa di dimostrare che M5S ancora esiste è quasi insormontabile. Le conseguenze del flop annunciato (su 978 comuni al voto appena in 64 c’è la lista stellata: zero in Sardegna, solo 4 in Sicilia che fu granaio di voti grillini), sono quattro. Uno: Letta capisce che M5S non gli serve e guarda al centro. Due: Grillo si stufa definitivamente di Giuseppi. Tre: Di Maio prende forza. Quattro: il tormentone del ritorno al grillismo delle origini. E poi una quinta: Conte o troverà il coraggio di far cadere Draghi dando un senso (sbagliato) alla sua presenza in politica oppure nessuno si ricorderà più di lui.

Silvio Berlusconi

Il piano B del Cavaliere: ritorno al proporzionale

Come al solito, deve dimostrare di essere politicamente immortale. Non facile affatto, ormai. Vorrebbe un’ esibizione a tre - Meloni, Salvini e lui o Tajani -  in chiusura di campagna elettorale. Ma dove? Forse a Genova anche se la vera campagna elettorale, tra pallone e politica, il Cavaliere l’ha fatta a Monza. E se Silvio vince il Comune, dopo la salita in serie A, lì lo faranno Re d’Italia. Molto fervore su Palermo, dove Cuffaro e dell’Utri (tornato nel cerchio magico) scommettono su Lagalla, ma il Cav è «concavo e convesso». Se il centrodestra non dovesse stravincere, comincerà ad ascoltare di nuovo i consiglieri alla Gianni Letta: unità nazionale, via al proporzionale e nuova vita di Silvio forever.

Matteo Renzi

Prove tecniche di alleanze per capire con chi andare

Un po’ con il centrodestra (a Verona, Rieti, Genova e Catanzaro). Un po’ col centrosinistra (a Parma). Un po’ per conto suo (a Palermo dopo aver appoggiato inizialmente Lagalla ci ha poi ripensato) o con Azione (Monza, Como). Matteo Renzi gioca a tutto campo per dimostrare che i poli del vecchio bipolarismo sono ammaccatissimi e che, senza il suo contribuito, grande o piccolo che sia («Io con il 2 per cento faccio tutto, e influenzo ogni cosa, compresa l’elezione del Capo dello Stato», assicura il leader di Italia viva) nessuno vince. Renzi smentisce chiunque dice che si sta buttando a destra, ma il 12 giugno gli servirà sicuramente per contarsi e contare i   voti degli altri e a quel punto, se tutti zoppicano nelle urne, decidere anche che cosa fare “da grande”.

Carlo Calenda

Il sogno del 10 per cento per fare l'ago della bilancia

Il leader di Azione non gioca in tandem con Renzi, anche se l’obiettivo di smontare il vecchio bipolarismo li accomuna. Ma il suo piano è abbastanza delineato e diverso da quello dell’ex premier: andare alle politiche da solo, puntare al 10 per cento, eleggere i suoi, non far vincere nessuno e poi stare alla finestra. Se poi, dalle urne del 12 e 26 giugno, uscisse un quadro politico senza vincitori e con diversi vinti, Carlo potrebbe anche pensare di unirsi a Renzi e provare ad inventare una comune forza di interposizione politica che trovi la forza di togliere la forza ai partitoni e di portare a Palazzo Chigi nell’estate del 2023 non Draghi, che non è disponibile, ma qualcuno che gli somigli. Ammesso che esista.

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