Conte apre alla destra: dialogo per il Quirinale

Segnale ai 5Stelle: «Draghi al Colle? Non si può escludere ma non significa elezioni». Meloni e Salvini elogiano il successo del premier al G20. Ma resta il gelo di Letta

Conte apre alla destra: dialogo per il Quirinale
di Barbara Acquaviti
Lunedì 1 Novembre 2021, 00:15 - Ultimo agg. 2 Novembre, 09:21
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Uno apre al centrodestra e l’altro chiude, uno ammette che non gli dispiacerebbe Mario Draghi al Quirinale, l’altro lo vorrebbe a palazzo Chigi fino al 2023. Se sono queste le premesse di intesa in vista dell’elezione del presidente della Repubblica, allora di lavoro Giuseppe Conte ed Enrico Letta ne devono fare ancora parecchio. Già il pranzo di una settimana fa tra i due leader aveva mostrato quanto fosse in salita la strada verso un nome comune. Ma se sui contenuti di quel colloquio ciascuna delle due parti ha gioco facile a far uscire la propria versione, ci sono le dichiarazioni pubbliche a testimoniare che i punti di partenza sono davvero distanti.
La premessa di Enrico Letta è sempre la stessa: «Come Pd ci siamo dati la regola che di Quirinale si parla da gennaio». Una scelta di stile più che di sostanza, perché la verità – come tutti sanno – è che le grandi manovre sono già iniziate, nessuno escluso. E, a quanto pare, in quelle di Enrico Letta non è previsto un dialogo con il centrodestra. In realtà, intervistato da Maria Latella su Radio24, il segretario dem parla di legge elettorale. Ma come lui stesso ammette, le due questioni sono legate. «La discussione oggi è bloccata dal fatto che il centrodestra mi pare assai concentrato e bloccato sul Quirinale e sulla candidatura di Berlusconi. Questo arrocco rende impossibile qualunque ragionamento su riforme di sistema come la legge elettorale. La mia impressione è che se ne potrà parlare dopo gennaio».

FATTORE QUORUM

Insomma, nulla da dirsi fino all’elezione del presidente della Repubblica.

Letta sembra muoversi già nell’ottica della quarta votazione, quella in cui il quorum si abbassa. Anche in questa prospettiva vanno letti i nomi di possibili candidati che circolano: quello di Paolo Gentiloni (che però non avrebbe avuto il sostegno del M5s) e persino quello di Rosy Bindi. Ma è proprio colui che dovrebbe essere il suo primo alleato, ovvero Conte, a indicare un percorso che si muove in tutt’altra direzione. Per scegliere il successore di Mattarella, dice a ‘In mezz’ora’, servirà «avviare un percorso di confronto anche con le forze dello schieramento di centrodestra, perché stiamo parlando di eleggere il garante dell’unità nazionale». E dal momento che deve essere «una personalità in cui tutte le forze politiche possano riconoscersi», è meglio evitare i “caminetti”. D’altra parte, è proprio il punto di partenza che è diverso. A torto o a ragione, Giuseppe Conte è convinto che continuare ad avere Mario Draghi a palazzo Chigi accelererebbe un logoramento che i sondaggi (e le recenti amministrative) già certificano. Dunque, portarlo al Quirinale sarebbe già una prima soluzione. Per questo, pur dosando la frase con tutte le cautele del caso, sostiene che da parte del Movimento non c’è «nessun veto», anzi «assolutamente non lo escludiamo».

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Sul nome di Draghi, fatto non secondario, sa bene di poter ammiccare al centrodestra. Al di là degli impegni presi con Berlusconi, più volte sia Matteo Salvini che Giorgia Meloni hanno espresso il loro favore all’ipotesi. E non sembrano casuali nemmeno i loro elogi al premier per la conduzione del G20. «L’Italia ritrova prestigio internazionale», dice il segretario della Lega mentre la leader di FdI riconosce il “merito” alle sue doti diplomatiche. Se questo è il primo passo di Conte, tuttavia, il secondo è rassicurare i parlamentari – troppi quelli che rischiano di non essere rieletti – sul fatto che una soluzione del genere non porterebbe necessariamente alla fine della legislatura. «Non è che dobbiamo pensare che si vada per forza ad elezioni. Abbiamo l’obiettivo di mettere in sicurezza il Paese, di spingere sul Pil, dobbiamo lavorare sul Pnrr». Anche perchè «il M5S avendo avviato un nuovo corso, ha bisogno di tempo». Insomma, ammette candidamente, «non è nel nostro interesse andare votare». Il problema della tenuta dei gruppi, tuttavia, è di Conte quanto di Letta. Il recente voto sul ddl Zan e la sostanziale chiusura del segretario dem a un dialogo con Italia viva, ha già messo in agitazione i gruppi parlamentari in cui Base riformista, per lo più ex renziani, detengono la maggioranza. A loro giudizio, il famoso ‘campo largo’ non può essere ristretto. E se questo è stato vero per la legge contro l’omotransfobia, dicono, vale a maggior ragione per l’elezione del successore di Mattarella.

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