In buona parte dei 5 stelle e del Pd in queste ore è sempre più diffusa la certezza, sintetizzabile così: Gualtieri sarà sindaco di Roma (se i sondaggi non stanno sbagliando tutto), lascerà il suo posto da deputato e alle suppletive per il collegio uninominale di Roma I correrà in rossogiallo Giuseppe Conte. Con vittoria assicurata e ingresso dell'ex premier per la prima volta in Parlamento. C'è chi giura: «Giuseppe ci sta facendo un pensierino, anzi un pensierone». Ma il Pd, che in quel collegio è storicamente fortissimo e che ha previsioni che lo proiettano oltre il 30 per cento, mentre M5S è inesistente, farà questo regalo a Conte? I motivi per farglielo non mancano.
Sarebbe anzitutto il risarcimento che i dem gli darebbero in cambio - ma bisognerà vedere se ci sarà - del sostegno dei grillini a Gualtieri per il secondo turno, dove nel caso probabile in cui dovesse arrivarci avrà bisogno di parte dei consensi targati Raggi (e Calenda) per superare Michetti. Ma non c'è soltanto questo. Nella strategia di Enrico Letta, che punta a rendere sempre più forte l'accordo politico-elettorale con M5S in vista delle Politiche del 2023, dare al leader stellato una candidatura così eclatante e simbolica qual è quella di Roma Centro diventerebbe il suggello di un percorso comune. I motivi che fanno sentire l'acquolina in bocca a Conte, in direzione Montecitorio, insomma ci sono tutti. Sarebbero un modo, le suppletive, per sfruttare da parte dell'ex premier quel residuo di popolarità che gli resta e che si sta manifestando in questi giorni nel tour italiano per le amministrative, nel quale almeno al Sud non sembrano mancargli i fan. In più, se l'ex premier diventa parlamentare, avrà uno stipendio, di cui adesso è sprovvisto non potendo esercitare da avvocato. Potrà inoltre controllare da vicino le truppe dei deputati e senatori, per molti dei quali è ancora un estraneo e infatti non gli versano l'obolo stabilito dei 2500 euro mensili. La voce che circola tra gli stellati è questa: Conte ha bisogno di stare alla Camera anche perché lì dentro si fanno i giochi per l'elezione del presidente della Repubblica, a inizio febbraio, e in sua assenza il dominus sarebbe Di Maio...
Quel che invece già sembra prefigurarsi sono i problemi che l'ipotesi Conte crea in una parte del Pd, ossia presso la corrente Base riformista, la meno filo-grillina. Dove c'è chi dice: «Ma siamo sicuri che lui meriti questo regalo? Non è un dispetto che facciamo a noi stessi?». Malumori preventivi. E se sulla candidatura a sindaco di Gualtieri s'è trovata l'unità, con quelli di Base Riformista che hanno dato un ok convinto e stanno dando un sostegno molto attivo in campagna elettorale (si veda la manifestazione molto partecipata dell'altro giorno alla Borghesiana con Gualtieri insieme al capo-corrente degli ex renziani Guerini e a Patrizia Prestipino coordinatrice di Base Riformista nel Lazio), questa stessa unità potrebbe guastarsi di fronte alla candidatura Conte. Oltretutto - si fa notare nelle varie aree del partito - quel collegio di Roma I così importante, che è stato di super-big come Gentiloni prima di passare all'ex ministro Gualtieri, dovrebbe e potrebbe naturalmente andare a Zingaretti («A chi, se non a Nicola?») che è il peso massimo del partito nella Capitale, anche se in questo caso si andrebbe a votare per la Regione anticipatamente e non nel 2023. Insomma, Conte ci punta ma non mancano gli ostacoli. Un altro potrebbe avercelo in casa. Rappresentato da tutti quei grillini o anche ex - come il Dibba, il quale a Roma ha ancora seguito - che di apparentarsi con il Pd nella Capitale non vogliono affatto. E anche la Raggi potrebbe essere di questo avviso.