Conte: il Mezzogiorno priorità del Recovery, fondi da 71 miliardi in su

Giuseppe Conte
Giuseppe Conte
di Alberto Gentili
Martedì 28 Luglio 2020, 06:29 - Ultimo agg. 12:00
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Si celebrerà alle otto di questa sera la prima riunione della cabina di regia guidata da Giuseppe Conte per decidere gli interventi del Recovery plan. E il premier, alla vigilia del vertice, ha dato ai ministri due indicazioni: arrivare con le bozze dei progetti e dedicare un'attenzione particolare al Sud. «Perché lo sviluppo del Mezzogiorno deve essere una priorità. Se si rilancia il Sud, riducendo il divario con il Nord, ripartirà meglio e con più velocità l'intero Paese».

Il Mezzogiorno, insomma, diventa il primo capitolo del Recovery plan che verrà presentato dal governo alla Commissione europea a metà ottobre. La ministra alle Infrastrutture, Paola De Micheli, sostiene che dei 209 miliardi che arriveranno da Bruxelles, «83 andranno al Sud» per strade, autostrade, porti, Alta velocità, reti ferroviarie regionali, banda larga, etc. Francesco Boccia, responsabile degli Affari regionali, ritiene che con i fondi europei «si può far molto per superare il divario con il Nord». E da Bruxelles arriva un'indicazione precisa: almeno 70 miliardi dovranno andare a colmare gli squilibri territoriali.

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Che questo sia il main stream è provato dalle parole di Beppe Provenzano, che conferma la cifra richiesta da Bruxelles per il Mezzogiorno: «Gli investimenti dovranno essere proporzionati alla popolazione di riferimento e dunque al Sud dovrà andare il 34% delle risorse. Poi ci sono le risorse aggiuntive che dobbiamo spendere bene e in tempo». Traduzione delle parole del ministro per il Sud: si parte da una base di 71 miliardi (appunto il 34% di 209 miliardi) e da qui si può salire. Secondo Provenzano, «tutti gli obiettivi che l'Europa ci chiede di raggiungere su sostenibilità ambientale e digitalizzazione, vanno realizzati proprio nelle zone interne del Mezzogiorno. Abbiamo l'opportunità di spezzare l'isolamento e di dare la possibilità ai giovani di non essere costretti ad andarsene, ma avere l'opportunità di restare».
 


Nel Recovery plan, naturalmente, non ci sarà spazio solo per il Sud. Lucia Azzolina, ministra dell'Istruzione, ritiene che «la scuola può fare un salto di qualità grazie ai soldi del Recovery Fund, con stanziamenti per l'edilizia scolastica e per ridurre il numero degli alunni per classe». E Stefano Patuanelli, responsabile dello Sviluppo, indica tra gli interventi da finanziare «l'innovazione e la digitalizzazione delle imprese e il rafforzamento del pacchetto 4.0 per arrivare alla detassazione totale di quello che viene investito in azienda».

Il tutto verrà deciso nella cabina di regia del Recovery plan che altro non è che il Comitato interministeriale per gli affari europei (Ciae), con sede a palazzo Chigi e presieduto da Conte. Un organo istituito da Mario Monti e finora del tutto dimenticato. O quasi. Vi parteciperanno questa sera tutti i ministri e i rappresentanti degli Enti locali.

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Il premier, che difende il ruolo del governo nella definizione del piano italiano, ritiene «doveroso il dialogo e il confronto con il Parlamento» sollecitato da tutte le forze politiche, recependo alcune indicazioni e passando per le Camere per il voto finale sul Recovery plan a inizio ottobre. Ma come dice il ministro per gli Affari europei, Enzo Amendola che del Ciae è il coordinatore, «sarà il governo a decidere come usare» i 209 miliardi targati Bruxelles. Linea confermata da Patuanelli: «Ci sarà un ruolo forte dell'esecutivo nel determinare le linee sulla scelta su come investire le risorse del Recovery Fund».
 

A facilitare Conte nel tenere saldo in mano il timone della gestione delle risorse europee, c'è il fatto che le forze politiche non riescono a mettersi d'accordo su quale strumento utilizzare per marcare stretto il governo. Forza Italia e una parte del Pd hanno proposto l'istituzione di una commissione bicamerale, epilogo che il premier ha detto di gradire perché «renderebbe più efficace il confronto». Ma ci vorrebbe una legge ad hoc. «E di tempo non c'è nè», avverte Patuanelli.

Così, nelle ultime ore, si fa strada nella maggioranza l'idea di ricorrere alla commissioni parlamentari esistenti. Strada sostenuta da Nicola Zingaretti: «Bisogna decidere velocemente, sono scettico sulle bicamerali». Da Matteo Renzi: «Ci sono già troppe commissioni, dedichiamo invece agosto per decidere le misure, anche senza task force». E da Loredana De Petris, capogruppo di Leu in Senato: «Il Parlamento deve tornare a lavorare con le procedure ordinarie, rispettando le competenze delle commissioni esistenti».
 

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