Coronavirus, l'accusa: «Il lockdown nel Mezzogiorno serviva a gestire il consenso»

Coronavirus, l'accusa: «Il lockdown nel Mezzogiorno serviva a gestire il consenso»
di Nando Santonastaso
Venerdì 7 Agosto 2020, 08:46 - Ultimo agg. 17:19
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«Le valutazioni del Comitato tecnico-scientifico confermano che si potevano adottare, nel pieno rispetto delle norme di prevenzione, anche misure per la ripartenza non generalizzate, ragionando cioè per attività o per aree, come soprattutto al Sud, meno colpito dalla pandemia, si era chiesto». È perplesso Gianluigi Cimmino, Ceo di Pianoforte Holding, il gruppo che include Yamamay, Carpisa e Jaked. Già critico verso l'impostazione ritenuta «solo assistenziale» dei decreti dell'esecutivo nei mesi più difficili dell'emergenza da Covd-19, l'imprenditore non cambia opinione ora che è stato reso noto il parere degli esperti sulla possibilità di una ripresa del Paese non necessariamente omogenea, come invece è avvenuto. «Forse si poteva anche pensare di chiudere il Paese per aree», osserva Cimmino.

Cosa ha pesato secondo lei nella decisione del governo? La maggiore forza ad esempio del sistema delle imprese del Nord che avrebbero mal tollerato la riapertura prima del Mezzogiorno?
«Questo lo escludo, non penso minimamente ad una ipotesi del genere. L'impresa ha bisogno di produrre ma anche di vendere e un imprenditore del Nord non penserebbe mai di chiudere anche il Sud per equiparare per così dire il Paese ad una parità nel segno dell'emergenza. Che nel trattamento dell'emergenza ci sia stata sicuramente una stretta decisa al Sud, l'area che beneficia più delle altre di sussidi e redditi di assistenza, mi pare evidente».

La politica, in altre parole, avrebbe deciso in funzione di logiche tutte particolari?
«Se devo ragionare da uomo di marketing, penso che chiudere di più il Mezzogiorno voleva dire e creare un forte bacino di consenso per il governo. I sussidi pubblici arrivati al Sud per gestire questa emergenza sono sicuramente superiori a quelli di altre aree del Paese».

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Sarebbe stato giusto insomma ripartire prima nelle zone in cui il contagio era stato più lieve?
«Certamente sì. Io proprio in questi giorni per ragioni di lavoro sono stato in Sicilia, in Calabria, a Napoli e ora in Sardegna e ho constatato di persona che ci sono zone in cui il virus non è mai per fortuna arrivato. Naturalmente questo non autorizza a far finta di niente o a pensare in termini di liberi tutti. Anzi, dobbiamo impegnarci perché il rispetto delle regole sia costante, altro che assembramenti incontrollati soprattutto dei giovani che si vedono ormai ovunque, specie di sera, e che mi fanno essere molto più preoccupato per il futuro».

Torniamo alla mancata ripartenza del Mezzogiorno: riaprire prima alcune attività come il turismo poteva ridurre l'impatto economico così pesante sui territori?
«I trattamenti differenziati vanno pensati con intelligenza per non danneggiare l'economia. Il governo spende un miliardo alla settimana in sussidi e sa bene di non avere tutte le risorse necessarie per continuare a farlo. Si è scelto di utilizzare questa strategia pur sapendo che, come una droga, difficilmente se ne potrà uscire. Le aziende fanno i loro conti economici solo in base alla Cassa integrazione ma lo Stato non ha più i soldi per sostenerla. Certo, con una razionalizzazione delle aperture e delle chiusure si poteva evitare un prezzo così alto, adottando subito ad esempio misure a sostegno delle attività produttive: soldi direttamente alle imprese, cioè, obbligandole a tenere l'occupazione. Siamo ancora in tempo a farlo, con un patto tra governo e parti sociali non più rinviabile».

Ma il turismo...
«Detto ciò, è altrettanto chiaro che se non riaprono gli aeroporti e non arrivano i turisti stranieri, un comparto strategico come il turismo farà comunque fatica a risollevarsi. Il governo ha destinato ben 3 miliardi ad Alitalia e poi pretendiamo che il vettore ferroviario privato debba fare corse in perdita perché costretto a ridurre i posti disponibili, rinunciamo a un terminal a Malpensa, e accettiamo che tutti gli scali funzionino al 30% perché non hanno i soldi per far arrivare le compagnie low coast e per riaprire i terminal tuttora chiusi. Come fa a ripartire così il turismo al Sud?».
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