Coronavirus, le Regioni leghiste: apriamo anche da sole. Conte: è troppo presto

Coronavirus, le Regioni leghiste: apriamo anche da sole. Conte: è troppo presto
di Alberto Gentili
Martedì 28 Aprile 2020, 06:29 - Ultimo agg. 13:15
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Pessimo risveglio per Giuseppe Conte. Il suo piano per la Fase 2 illustrato domenica sera viene seppellito dalle critiche. Da industriali, artigiani, commercianti, vescovi, opposizione, arriva una bocciatura senza appello: troppa timidezza, niente coraggio. Al coro si uniscono, naturalmente, Matteo Renzi e perfino alcuni settori del Pd. Senza contare le gaffe sui congiunti, sulle coppie di fatto, sulle seconde case in Regione e l'incertezza sull'obbligatorietà delle mascherine.

Coronavirus, in Veneto il lockdown non c'è più. E la Valle d'Aosta vuole riaprire le scuole

Insomma, il Dpcm varato dopo decine di vertici e con l'ausilio di centinaia di esperti, barcolla. Ma il peggio arriva dalle Regioni. Il premier domenica sera ha fatto appello alla collaborazione a non andare in ordine sparso. Accade invece l'esatto contrario, ripetendo il copione andato in scena da quando è scattato il primo lockdown. Con la possibilità che il governo impugni le ordinanze fuori linea.
Ma per Conte non è questo il momento. Tant'è, che in serata il premier vola a Milano per spiegare, proprio nella Regione più colpita dal virus, la linea scelta. Senza attaccare: «Il governo non cerca consenso. Cerca di fare le cose giuste e continuerà a farlo anche se questo dovesse scontentate un gran numero di cittadini. Certo, molti sono rimasti insoddisfatti, ma questo non è il momento per il ritorno alla normalità. Basta un nulla per far riesplodere l'epidemia. Dunque, non sprechiamo i sacrifici fatti». Ancora: «Non sarebbe responsabile gestire la fase 2 in modo sconsiderato, avventato. Non ce lo possiamo permettere, lo dobbiamo anche per rispetto a coloro che sono morti. Dobbiamo preservare la salute dei cittadini. Non è questo il momento di mollare o del liberi tutti».

Non manca una bacchettata, ma delicata, alle Regioni: «La ratio è avere un piano nazionale, se ognuno va per la sua strada non si avrebbe un principio di razionalità capace di governare la ripartenza».
Eppure, in Lombardia il governatore leghista Attilio Fontana studia, assieme alla Prefettura e all'Arcidiocesi, di autorizzare ciò che il governo nazionale ha negato: la celebrazione delle messe. In Veneto il presidente Luca Zaia, anche lui leghista, «preoccupato dal rischio di tensioni sociali», comincia la mattina con una raffica di ordinanze. La prima: dalle 18 (di ieri) «è consentito lo spostamento individuale per attività motoria e all'aria aperta, anche in bicicletta in tutto il territorio del Comune di residenza». La seconda: «È ammessa la vendita e la somministrazione di cibo take-away, attraverso autoveicoli», cosa che nel resto del Paese sarà autorizzata solo da lunedì 4 maggio. La terza: «In tutto il Veneto è consentito recarsi nelle seconde case o alle imbarcazioni ormeggiate al di fuori del Comune di residenza per la manutenzione e la riparazione». Spostamenti che il governo ha per vietato fino a nuovo ordine.
Come se non bastasse, la Valle d'Aosta vuole riaprire le scuole a giorni e il presidente della Sardegna Christian Solinas annuncia un'ordinanza per la riapertura di tutte attività produttive legate a nautica e cantieri, oltre alla possibilità di raggiungere le seconde case. Da Bolzano, il presidente Arno Kompatscher fa sapere che la Svp interromperà qualsiasi collaborazione con il governo, «se non dovesse essere accolta la nostra decisione di intraprendere un percorso autonomo per la fase 2». E il governatore ligure Giovanni Toti (anche lui vicino a Matteo Salvini), annuncia l'intenzione di organizzare una specie di rivolta: «Insieme ad altri presidenti di Regione chiederemo al governo di lasciarci la facoltà di decidere un nostra via alla riapertura». A mettere la ciliegina sulla torta ci pensa Renzi: «Sarò in prima linea a sostegno delle Regioni».E pensare che il ministro agli Affari regionali, Francesco Boccia, ha aperto la giornata dicendo: «Il governo dà indicazioni di cornice e dentro il quadro le Regioni potranno apportare alcune modifiche, non in contrasto con quanto deciso dal governo».

IL DRIBBLING
Ma da qui ad andare allo scontro, almeno ufficialmente, ce ne passa. Tant'è, che Conte in serata a Milano (per la prima volta da quando è cominciata l'emergenza) incontra Fontana, il sindaco Beppe Sala, il capo degli industriali Carlo Bonomi. E poi a Bergamo il primo cittadino Giorgio Gori e a Brescia (poco prima delle undici di sera) il sindaco Emilio Del Bono. Oltre al nuovo capo degli industriali, Carlo Bonomi. Appena arrivato in prefettura, il premier spiega piuttosto che attaccare: «Molti cittadini non sono rimasti contenti delle nuove misure e questo è comprensibile perché molti speravano in un ritorno alla normalità, ma ora non ci sono le condizioni: siamo nella fase della convivenza con il virus, non della liberazione dal virus. Siamo in questa situazione perché c'è stato un paziente zero in Italia che ha scatenato questa situazione, oggi abbiamo 105mila contagiati e solo domenica abbiamo avuto 2.300 nuovi contagi e altri 256 decessi. Dunque se non fossimo prudenti e responsabili, la curva dell'epidemia ci sfuggirebbe di mano. I cittadini ci diano fiducia: le nostre decisioni sono nel loro interesse».
Anche i 5Stelle non cercano lo scontro con le Regioni.

La prova sono le parole di Luigi Di Maio: «Siamo una grande Nazione. Solo uniti saremo più forti. L'Italia è una da Nord a Sud». Meno cauto il Pd che con il vicesegretario Andrea Orlando fotografa il paradosso: «Le quattro Regioni che hanno il livello di contagio più alto allentano le disposizioni del Dpcm. Sono curioso di leggere le motivazioni...».

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