Coronavirus e tasse, lo Stato rimborsa le Regioni autonome

Un'immagine di Bolzano
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di Federico Guiglia
Giovedì 9 Luglio 2020, 00:12 - Ultimo agg. 11:00
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Meno entrate fiscali a causa del coronavirus? Nessun problema: con una norma inserita nel decreto semplificazioni, lo Stato rimborserà il mancato introito alle Regioni a statuto speciale: 2,515 miliardi, di cui 1,1 è già stato stanziato.

Lo anticipa Arno Kompatscher, che guida l’istituzione più autonoma fra le autonome, cioè la Provincia di Bolzano, e che è stato delegato dai suoi pari a vedersela con Roma. «La trattativa col governo è a buon punto», dice il governatore altoatesino, che ha già calcolato per la sua Provincia oltre 476 milioni di euro quale rimborso statale per il gettito autonomo che non c’è stato. 

Tale ristoro integrale farà parte di un accordo complessivo che riguarderà il biennio 2020/2021. Spiega Kompatscher: «Le Province e Regioni a statuto speciale devono non solo far fronte al minore gettito fiscale, anche per quanto riguarda le imposte locali, ma anche alle minori entrate per scelte fiscali del governo a favore della ripresa economica». 

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Se così sarà, e se tanta attenzione del governo sarà riservata solo alle cinque Regioni che già godono di una corposa lista di privilegi legislativi e amministrativi rispetto alle altre quindici Regioni ordinarie chiamate a pedalare senza poter far valere la stessa voce in capitolo con Roma, avremmo il paradosso: chi più ha (poteri, competenze, risorse finanziarie che in Alto Adige, in Trentino e in Valle d’Aosta per circa nove decimi restano nel territorio), più riceve. Tutto potrà, infatti, avere di quel che fiscalmente manca per colpa della crisi. E così chi meglio può cavarsela da sé grazie alle poderose competenze esclusive e concorrenti a disposizione, più viene, al contrario, accudito dallo Stato. Uno Stato che nei restanti 364 giorni dell’anno è accusato di centralismo proprio dalle ora assistite autonomie. Senza, peraltro, che si possa parlare di un ricambio degli amorosi sensi. 

​Basti sapere che il ministro per gli Affari regionali, Francesco Boccia, era salito di gran corsa a Bolzano per supplicare Kompatscher di non far approvare dal Consiglio provinciale la legge che avrebbe portato a una generale riapertura in Alto Adige (la famosa fase 3) una settimana prima che questo accadesse in tutto il resto del Paese. Il ministro aveva prima ammonito e poi ribadito: attenzione, se fate quella legge, la impugnerò davanti alla Corte Costituzionale. Ma la legge provinciale è stata ovviamente fatta. E il governo non ha impugnato un bel niente. 

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E così a conti fatti ora anche il ricco e produttivo Nord (ben tre delle cinque speciali, cioè Trentino-Alto Adige, Valle d’Aosta e Friuli-Venezia Giulia si trovano ai confini settentrionali del Paese), batte cassa a Roma. Dinamiche e virtuose, le speciali del profondo Nord. Ma, per coprire il mancato gettito, bussano alla porta dello Stato, che spalanca. Chissà che ne penseranno il Veneto o l’Emilia-Romagna e il Piemonte, Regioni locomotive del Paese che però non godono dello stesso status costituzionale né trattamento comprensivo.

Intanto, la specialità altoatesina si fa sentire anche al Senato, dove la maggioranza è ridotta all’osso. 

I tre rappresentanti della Svp hanno detto che potrebbero anche sostenerlo, l’esecutivo navigante a vista (che dunque bada a tenerli buoni). Tre voti-salvagente in cambio, tuttavia, di un “programma di lavoro” che prevede una serie di precise e pesanti richieste. Dal governo-Conte pretendono sia il quanto (un elenco di provvedimenti e in particolare di norme d’attuazione, cioè elaborate da commissioni paritetiche che agiscono senza riflettori sostituendosi alla sovranità del Parlamento e dello stesso Consiglio provinciale), sia il quando. 
 


Tra le misure già sfornate nella massima riservatezza dalla cosiddetta Commissione dei 12 c’è la nomina politica di giudici della Corte dei Conti per Bolzano e Trento che ha provocato l’indignata reazione dell’Associazione dei magistrati contabili.
Il controllato che designa il controllore. Norma -pare- che sarà riformulata grazie alle polemiche scatenate. Altra richiesta che ha fatto sobbalzare l’opposizione di centro-destra, a cominciare dal consigliere provinciale Alessandro Urzì (Fratelli d’Italia), la possibilità, in ambito sanitario, di far lavorare personale senza che conosca l’italiano, cioè la lingua ufficiale della Repubblica. E poi lo sganciamento dal sistema di liberalizzazione del commercio nazionale, lo sblocco della concessione per l’A22 e la possibilità di legiferare su lupi e orsi. Menù, almeno in buona parte, indigesto, per chi vorrà provarlo e servirlo. 

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