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Crisi di Governo, riprende quota il Conte ter, per Renzi c’è anche Draghi

di Alberto Gentili
Articolo riservato agli abbonati
Domenica 31 Gennaio 2021, 08:00 - Ultimo agg. : 20:51
5 Minuti di Lettura

A dispetto dei timori di Giuseppe Conte e dei fantasmi del governo istituzionale o di larghe intese, il primo giorno dell’esplorazione di Roberto Fico nella giungla rosso-gialla ha fatto segnare un passo importante verso un nuovo governo guidato dall’avvocato. 

Matteo Renzi nell’incontro con il presidente della Camera ha dimostrato la disponibilità a trattare per il Conte-ter. Tant’è, che pur non facendo il nome dell’avvocato, ha chiesto un «patto scritto». Si è detto disponibile «a fare di tutto per trovare un accordo». E non è andato a testa bassa neppure sul Mes. Eppure, la prima scelta del leader di Italia Viva resta quella di sempre: ottenere lo scalpo di Conte, per poi incassare un governo guidato da Mario Draghi o da Marta Cartabia sostenuto anche da Forza Italia. 

APPROFONDIMENTI
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«Siamo 50 e 50», ha confidato ai suoi il senatore di Rignano che viene descritto «galvanizzato» per aver saputo che l’ex presidente della Banca centrale europea sarebbe disposto ad accettare palazzo Chigi (o l’Economia) se gli venisse rivolto un appello a «salvare la Patria». Insomma Renzi, come al solito, gioca su due tavoli. «Tanto più», ha puntualizzato, «che bisogna vedere cosa riuscirò a mettere nel patto scritto, il vero problema dei grillini sono i temi...». In estrema sintesi: «Non date per fatto il Conte-ter». Forse è anche un modo per alzare il prezzo.
Agli atti c’è però che Renzi tratta con Pd, 5Stelle e Leu. 

Crisi, Conte-ter, dieci nomi a rischio: da Casalino a Bonafede, da Azzolina ad Arcuri e De Micheli

La ragione è spiegata da un alto dirigente di Italia Viva: «Nessuno di noi vuole Conte e siamo convinti che riusciremmo a spingere i grillini, terrorizzati dalle urne, a sostenere un governo Cartabia-Draghi. Ma il Pd non si muove, non sente ragioni, e resta fermo sull’avvocato per preservare quella che chiamano “alleanza riformista” in vista dell’approdo elettorale, quando sarà. Così, valutata la situazione e per non rischiare di perdere qualche senatore nel caso di rottura, ora fissiamo un prezzo alto per il Conte-ter. Per avere discontinuità e un governo migliore. A questo scopo, se non riusciremo a fare come è probabile un esecutivo Draghi, dovrà cambiare il ministro della Giustizia, Bonafede. Gualtieri dovrebbe essere sostituito da un tecnico di altissimo livello per realizzare al meglio il Recovery Plan, Catalfo e De Micheli dovranno lasciare perché inadatte al ruolo. Noi? Il problema non sono i posti». Eppure, Italia Viva punta sui ministeri dello Sviluppo e delle Infrastrutture per avere un ruolo di primo piano nel Recovery Plan. Anche se non scarta affatto l’ambo Interni-Difesa.

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C’è da dire che al Nazareno non saltano sulla sedia di fronte alle richieste renziane: «Se ne occuperà Conte quando avrà ottenuto l’incarico e dovrà formare la nuova squadra», dice un ministro dem di rango. Che poi spiega: «Per noi non ci sono alternative al Conte-ter, se non le elezioni a giugno. L’avvocato è amato, io non posso fare 50 metri per strada senza che qualcuno mi dica: “Difendetelo”, “andate avanti con Conte”. E senza che qualcun altro non lanci insulti all’indirizzo di Renzi. Matteo ormai è odiato, non può mettere il naso fuori da casa. E dunque, come si è visto, si sta piegando. Del resto, non ha alternative: i suoi lo lascerebbero se si andasse a votare. In più potrà vendere l’accordo come una vittoria: era stato lui il primo a chiedere il Conte-ter e dirà che l’ha ottenuto».

Ancora, in una sorta di sfogo: «Di certo noi non suicidiamo il Pd, non lo ammazziamo per fare un favore a Renzi. Perfino se sostenessimo un governo Draghi saremmo morti. Per noi Conte è essenziale. La ragione? Non abbiamo alcuna intenzione di far saltare l’alleanza con i grillini e solo Giuseppe si porta dietro il Movimento compatto che invece si spappolerebbe se l’avvocato dovesse essere silurato». Possibile che non ci sono subordinate a Conte? «C’è n’è una sola, le elezioni. Se Italia Viva si sfilasse, Mattarella farebbe un governo elettorale e si andrebbe a votare a giugno. Contro una destra becera ce la giocheremmo». 

 

In casa dem non fa paura neppure la ribellione dei 5Stelle. Vito Crimi e Luigi Di Maio sono corsi a rassicurare gli alleati sulla fronda guidata da Alessandro Di Battista contro il ritorno in maggioranza di Renzi: «Nessuno dei parlamentari lo seguirà, al massimo la Lezzi. E nel caso che la situazione dovesse aggravarsi c’è sempre il voto su Rousseau. E, potete starne certi, i nostri iscritti sanno bene che dire no a Italia Viva vorrebbe dire affossare Conte, perciò prevarrà la linea del sì ai renziani», è stato garantito a Nicola Zingaretti & C.

Dario Franceschini continua a restare in contatto con il senatore di Rignano e chi ha parlato con il capodelegazione dem l’ha trovato «sereno», convinto che Renzi non tornerà indietro sulla strada della riedizione della maggioranza rosso-gialla e del ritorno a palazzo Chigi di Conte. Tanto più, è la convinzione di Zingaretti e Franceschini, che nel caso di un diverso epilogo Italia Viva si spaccherebbe. Una parte dei senatori renziani volterebbero le spalle al capo e correrebbero a rafforzare la maggioranza, rendendo così Renzi ininfluente e marginale come Conte avrebbe voluto con l’operazione «volenterosi». Quella fallita miseramente. 

© RIPRODUZIONE RISERVATA
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