Crisi di governo, Draghi resiste al pressing. Colle: «Dopo di lui elezioni»

Crisi di governo, Draghi resiste al pressing. Colle: «Dopo di lui elezioni»
Crisi di governo, Draghi resiste al pressing. Colle: «Dopo di lui elezioni»
di Alberto Gentili
Sabato 16 Luglio 2022, 00:07 - Ultimo agg. 17 Luglio, 12:18
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Chi ha parlato con Mario Draghi nelle ultime ore, descrive il premier «irremovibile». «Determinato» a confermare le dimissioni, respinte giovedì da Sergio Mattarella, dopo le comunicazioni che farà mercoledì alle Camere. Perché «non ci sono margini»: «Conte e Salvini, pur se promettessero di essere leali, un istante dopo tornerebbero a lanciare ultimatum e a fare ricatti, impedendo al governo di governare». E perché «il premier ha una credibilità da difendere» e non vuole passare alla storia come l’ostaggio, negli ultimi mesi di legislatura, dei leader di 5Stelle e Lega.

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«Senza contare che Mario non è un professionista della politica, disposto a qualsiasi compromesso pur di conservare la poltrona». Conclusione: le elezioni tra fine settembre e inizio ottobre sono, al momento, l’epilogo più probabile. «E la Meloni andrà a palazzo Chigi». Analisi condivisa dalla presidente di FdI. Eppure c’è chi, come i ministri di Forza Italia Renato Brunetta e Mara Carfagna, crede e spera che la storia del governo Draghi non sia ai titoli di coda. Che alla fine l’ex capo della Bce, se mercoledì Giuseppe Conte e Matteo Salvini andassero a Canossa rinnegando pubblicamente la strategia da guastatori seguita finora, potrebbe rinunciare all’addio.


La prima ragione è il tempo: «Da oggi a mercoledì può succedere qualcosa...», dice un’alta fonte di governo. E già ieri è scattato il pressing internazionale per convincere il premier a restare e 5Stelle e Lega a essergli leali. Si è fatta sentire la Casa Bianca: «Il presidente Biden ha grande rispetto e considerazione per Draghi, seguiamo con grande attenzione ciò che succede a Roma». Posizione simile a quella della Ue e di tutte le cancellerie europee terrorizzare dal ritorno dell’instabilità in Italia.
Le altre ragioni di questo ottimismo (per ora) immotivato sono di merito.

La guerra in Ucraina con la necessità di garantire il posizionamento euro-atlantico all’Italia e scongiurare un governo alla Orban che potrebbe saltare fuori dalle urne autunnali. La pandemia che rialza pericolosamente la testa. L’attuazione del Pnrr e le riforme collegate giudicati da Mattarella l’«occasione per la ricostruzione del Paese». Le misure contro il caro-energia, l’inflazione, il disagio sociale innescato dall’impennata dei prezzi. La legge di bilancio (con il taglio del cuneo fiscale) da scrivere entro il 15 ottobre: non è un caso che, nella storia repubblicana, non si sia mai andati a elezioni dopo l’estate.

 

L’attesa del Colle

Sono proprio queste ragioni a spingere il capo dello Stato ad auspicare (senza molte speranze) una ricomposizione della maggioranza di unità nazionale di cui giovedì, dopo il no alla fiducia dei 5Stelle al decreto aiuti, Draghi ha certificato la fine: «Non c’è più». Ma essendo una partita legata alle dinamiche dei partiti, Mattarella viene descritto in attesa, attento osservatore del dibattito che si è innescato nelle forze politiche. Senza l’intenzione di mettere in cantiere, prima del redde rationem di mercoledì, alcun intervento o moral suasion.
I segnali, nel day after dell’innesco della crisi, non sono però incoraggianti tant’è che Bruno Tabacci (draghiano doc) dà per probabile il voto anticipato. Silvio Berlusconi e Salvini in una nota congiunta certificano di non voler avere più nulla a che fare con i 5Stelle, ponendo così un paletto che può portare alle urne (pur non essendo così espliciti e temendo la vittoria della Meloni), visto il “no” di Draghi e del Pd a un governo senza M5S. Conte propone e poi si rimangia (causa sollevazione dei diretti interessati) le dimissioni dei 3 ministri grillini: mossa che sarebbe (stata) la pietra tombale per ogni ipotesi volta a scongiurare le elezioni anticipate. «E soprattutto», come dice un esponente della segreteria del Pd, «ancora non c’è drammatizzazione per l’addio di Draghi: l’opinione pubblica non sembra aver compreso il caos in cui precipiterebbe il Paese se davvero cadesse il governo». Pausa, sospiro: «Del resto Draghi deve difendere la propria credibilità e la sua autorevolezza. E queste andrebbero in fumo se accettasse di restare a palazzo Chigi, per poi rimanere vittima degli ultimatum di Salvini e Conte...». Un quadro ben chiaro a Mattarella. Tant’è, che dal Quirinale filtra che nel caso in cui il premier - che rientrerà lunedì sera, e non martedì, dal vertice intergovernativo di Algeri - confermasse le dimissioni, il capo dello Stato non svolgerebbe le consuete consultazioni. Come dire: dopo Draghi ci sono solo le elezioni. Il 25 settembre o il 2 o il 9 ottobre. Con lo scioglimento delle Camere già forse la prossima settimana.

Le condizioni

Draghi, che dedicherà il week end a Città della Pieve e martedì scriverà un discorso che si annuncia come un j’accuse contro chi ha spinto il governo alla crisi, le condizioni per restare le ha già messe in chiaro. «Basta ultimatum». Basta soci di maggioranza «scontenti», «sofferenti» nel sostegno all’esecutivo. Soprattutto “no” a un «non governo» paralizzato da 5Stelle e Lega.
Da capire se questa linea Maginot, oltre al pressing internazionale, riuscirà a innescare qualche ripensamento tra i leghisti: Giancarlo Giorgetti ancora parla di lieto fine ai «tempi supplementari». E in quel che resta del M5S, dove i ministri Stefano Patuanelli, Federico d’Incà e Fabiana Dadone chiedono a Conte (trovando per ora una porta sbarrata) di votare la fiducia al governo nel caso Draghi dovesse chiederla. Ma al momento l’intenzione del premier è di dare un sonoro schiaffo ai sabotatori, scandendo con il suo discorso un amaro addio. «Con Mosca che festeggia e brinda perché è stata servita a Putin la testa di Draghi su un piatto d’argento», per dirla con Luigi Di Maio.

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