Trovare il bandolo della matassa della crisi di governo sembra di giorno in giorno sempre più complesso, ma al di là di quali saranno le conseguenze delle comunicazioni di domani di Giuseppe Conte in Senato, il lavoro per la manovra economica 2020 deve andare avanti in una situazione economica nazionale e internazionale non meno ingarbugliata di quella politica. Non a caso il ministro dell'Economia, Giovanni Tria, al rientro dalla pausa ferragostana, ha già cercato di fare il punto con i suoi interlocutori, a partire da Luigi Di Maio, incontrato a Palazzo Chigi prima della riunione del leader cinquestelle con i suoi.
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Sul tavolo c'è il rallentamento dell'economia in Italia, ma anche in Germania, come certificato oggi dalla Bundesbank. Ci sono i rischi legati alla Brexit e le possibili ripercussioni dei dazi Usa-Cina sul commercio mondiale. Ci sono le annunciate nuove misure espansive della Bce, ma anche il cambio ai vertici delle istituzioni europee, oltre che della stessa banca centrale e del Fondo monetario. E, forse è inutile aggiungerlo, ma il Colle non potrà non tenere conto di questo scenario e delle esigenze dei conti pubblici nelle sue decisioni. Inevitabilmente, qualsiasi sia il governo in carica, tra poco più di un mese, entro il 27 settembre, sul tavolo dovrà arrivare anche la Nota di aggiornamento al Def, entro il 15 ottobre dovrà essere inviato a Bruxelles il Documento programmatico di bilancio ed entro il 20 ottobre dovrà essere presentata in Parlamento la prossima legge di bilancio. Prima ancora, il 6 settembre, bisognerà fare i conti con il giudizio di Moody's.
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Il lavoro per la manovra dovrà quindi essere in qualche modo già preimpostato, per dare almeno un segnale di continuità sul punto su cui nessuna forza politica può permettersi di dissentire: evitare gli aumenti Iva. Il disinnesco delle clausole di salvaguardia rappresenta una conditio sine qua non per qualsiasi coalizione, gialloverde o giallorossa che sia. I governi Pd hanno sempre evitato che le clausole di salvaguardia scattassero, in un delicato equilibrio tra flessibilità e rispetto delle regole di bilancio europee. E nonostante l'ardita propaganda antieuropeista, anche il governo Conte, pur con maggiore drammaticità, ha di fatto trovato per due volte consecutive un compromesso sui conti pubblici con Bruxelles, evitando di portare il deficit oltre i livelli consentiti e di rompere i rapporti con l'Unione. Difficile invece prevedere quale potrebbe essere il destino delle due misure simbolo della manovra 2019. In caso di coalizione Pd-M5S, ad essere sacrificata potrebbe essere 'quota 100', così come l'idea leghista di flat tax. Il reddito di cittadinanza potrebbe invece essere interpretato dai dem come un'evoluzione del Rei e quindi forse salvaguardato.
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Allo stesso tempo potrebbe avere un futuro anche il salario minimo, misura che, seppur con qualche differenza, rappresenta un punto di contatto tra Pd e 5S.