De Luca contro il governo, dietro il gelo i rimborsi Irpef fermi a Roma

De Luca contro il governo, dietro il gelo i rimborsi Irpef fermi a Roma
di Adolfo Pappalardo
Martedì 19 Maggio 2020, 08:00 - Ultimo agg. 17:14
4 Minuti di Lettura

Prima il nodo riguardava l'uscita dalla Sanità dal commissariamento, poi i fondi europei con il ministero del Sud. Risolto. Ora invece i motivi del contendere tra il presidente De Luca e l'esecutivo sono la data delle elezioni e, soprattutto, quei 240 milioni che il Mef deve girare a palazzo Santa Lucia. Braccio di ferro sui soldi che va avanti da mesi senza riuscire a trovare, per ora, uno sblocco. Anche se il premier Conte, che con De Luca ha un rapporto telefonico quasi quotidiano, gli ha promesso di dare un mano e convincere il ministro Gualtieri.

Mesi fa, nelle consuete ricognizioni contabili, gli uffici del regionali del Bilancio si accorgono che alcune ripartizioni da Roma non sono mai arrivate nonostante un cambio della norma reciti che i soldi tocchino agli enti locali. Per un fondo da 115 milioni sulle politiche sociali si risolve nel giro di pochi giorni, ma per quello da 240 milioni con il Ministero dell'Economia si va avanti inutilmente da mesi. Si inizia a metà del 2019 quando nelle pieghe di una legge, la Regione si accorge che ha diritto ad un rimborso Irpef da 240 milioni. Prima si tenta la via bonaria, poi si passa al ricorso presso i magistrati che palazzo Santa Lucia vince agevolmente. Sembra fatta anche perché la Ragioneria generale prende questi soldi e, per effetto della decisione dei giudici, li vincola su un contro della Banca d'Italia in favore della Regione Campania. E lì sono bloccati da mesi. Con il ministro Gualtieri che, dicono dalla Regione, frena ad erogarli. Come mai? Girare questi soldi alla Campania significa aprire un argine pericoloso per le casse del Mef: perché altre regioni (che però non hanno fatto ricorso) potrebbero chiedere quanto gli spetta. E sarebbe un colpo pesante per le casse statali. Da qui il braccio di ferro che va avanti da ben prima l'inizio della pandemia. Sino alla settimana scorsa quando De Luca ha investito il premier Conte della faccenda. E quest'ultimo si è impegnato a risolvere la faccenda. 
 

 

Ma naturale, conoscete l'ex sindaco di Salerno, figuriamoci se non attaccava direttamente il ministro. «Abbiamo una vertenza in corso con il ministero dell'Economia che ha rubato alla Regione Campania 240 milioni di euro di entrate Irpef che andavano rimborsate alla Regione. Mi pare davvero un atto di irresponsabilità tenere bloccati 240 milioni che non vengono utilizzati né dal governo nazionale né da quello regionale con la gente che ha problemi a volte drammatici. Mi auguro che il presidente del Consiglio ci dia buone notizie», ha spiegato venerdì scorso nella sua consueta diretta settimanale.
 

Più complicata, politicamente, la vicenda del voto a fine luglio. A chiederlo non è solo De Luca ma un fronte di governatori che comprende il collega Pd della Puglia Emiliano e quelli del centrodestra (Toti in Liguria e Zaia in Veneto). Tutti uscenti e prorogati per tre mesi che vorrebbero togliersi da dosso al più presto il voto di riconferma senza attendere l'autunno. Perché, ragionano, in autunno c'è la possibilità di un ritorno del Covid.

Ma la strada per i 4 è ormai tutta in salita. Il governo e la maggioranza infatti sono decisi a non presentare emendamenti al Decreto elezioni approvato il 20 aprile scorso (è all'esame del Parlamento per la conversione in legge) che rinvia alla finestra tra settembre e dicembre le elezioni regionali e comunali. È sempre più probabile, invece, che in autunno le urne si apriranno non solo per i cittadini dei territori interessati ma si vada ad verso un election day che accorpi anche il referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari. In commissione Affari costituzionali della Camera il governo, insieme con M5s, Pd, Leu e Iv, ha già escluso di modificare il decreto, respingendo le richieste avanzate dai quattro presidenti di regione. Sono rimasti così isolati. Non solo da parte dei colleghi di Toscana, Marche, Valle d'Aosta ma anche i partiti politici di riferimento.
Non solo il Pd e il centrosinistra e i grillini ma anche l'opposizione di centrodestra non vuole assecondarli.
Né Fi e Fdi, ma neppure la Lega che ha nel governatore Zaia un esponente di spicco: ufficialmente per ragioni di opportunità sanitaria ma anche per la difficoltà di prevedere scenari così a breve termine. Senza contare alcune regioni al palo. Come la Campania dove i leghisti hanno rimesso in discussione la candidatura dell'azzurro Stefano Caldoro. 

© RIPRODUZIONE RISERVATA