Decreto Cutro, Palazzo Chigi frena sulla protezione speciale. Poi il Governo sblocca e si vota

Il senatore Maurizio Gasparri, primo firmatario dell'emendamento, ha chiesto di poter sopprimere un comma del proprio testo

Decreto Cutro, maggioranza modifica emendamento sulla protezione speciale
​Decreto Cutro, maggioranza modifica emendamento sulla protezione speciale
Mercoledì 19 Aprile 2023, 19:16 - Ultimo agg. 20 Aprile, 09:25
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La Lega prima chiede e ottiene, dopo un braccio di ferro con FdI, di rimodulare l'emendamento sulla protezione speciale sopprimendo qualsiasi riferimento ai trattati internazionali firmati dall'Italia che sovrintendono a questa misura. Poi, però, è costretta a fare marcia indietro dopo un braccio di ferro con il partito di Giorgia Meloni. Una situazione che aveva messo in allarme il governo dopo le interlocuzioni dei giorni scorsi a livello di uffici tra Palazzo Chigi e Quirinale - comunque nessun colloquio tra Sergio Mattarella e la premier - anche sulla necessità di non eliminare i riferimenti ai trattati internazionali che il nostro Paese ha firmato in materia, per evitare i rischi di incostituzionalità delle nuove misure.

L'intervento e la riformulazione

Un dato che porterebbe inevitabilmente il capo dello Stato - si spiega sempre in ambienti parlamentari - a non firmare il nuovo provvedimento.

Una linea sottilissima che ha spinto Palazzo Chigi a intervenire - si spiega in ambienti della maggioranza - chiedendo la riformulazione dell'emendamento dopo il «pasticcio» che viene addebitato dall'esecutivo ai gruppi parlamentari. Da qui il colpo di teatro, nel pieno della seduta del Senato, con la maggioranza che compie una parziale marcia indietro su uno dei punti più controversi del decreto varato dal Cdm a Cutro, reintroducendo il riferimento ai trattati internazionali. Il primo firmatario del nuovo emendamento unitario è Maurizio Gasparri, che aveva infatti chiesto di modificarlo pochi secondi prima che venisse posto ai voti.

 

La gestazione di questo secondo emendamento non è stata semplice, anche perché le opposizioni si sono appellate a questioni di forma e procedurali costringendo il governo a intervenire una seconda volta con la richiesta di accantonare l'emendamento in questione che, solo dopo una attenta lettura e messa a punto, ha potuto avere il via libera. La giornata a palazzo Madama si era aperta con le punzecchiature della Lega al ministro Francesco Lollobrigida, che martedì aveva rilanciato le teorie cospirazioniste della sostituzione etnica. «Parole davvero brutte» ha detto Gianmarco Centinaio, mentre Massimiliano Romeo ha sottolineato come esse si «prestino a polemiche». Tuttavia la maggioranza all'inizio della seduta a Palazzo Madama per l'esame del decreto appariva compatta, come dimostrava la firma di tutti i gruppi ad un «emendamento canguro», all'articolo 1, vale a dire un emendamento che una volta approvato avrebbe fatto decadere gli oltre 300 presentati dalle opposizioni.

La mediazione

Per evitare che la seduta si trasformasse in un rodeo, il presidente Ignazio La Russa ha promosso una mediazione: la maggioranza ha ritirato il proprio maxiemendamento-canguro e le opposizioni si sono impegnate a evitare ostruzionismo, togliendo dal tavolo una cinquantina dei propri emendamenti e limitando gli interventi, così da concludere l'esame del decreto entro giovedì. Si è dunque iniziato ad esaminare il decreto e gli emendamenti in modo ordinato, anche se sui contenuti le distanze sono rimaste diametralmente opposte. Il centrodestra ha insistito nel dire che il decreto, contrasterà l'arrivo di immigrati regolari, perché i permessi speciali sono un «pull factor» che inducono a partire per l'Europa. Viceversa le opposizioni, a loro volta compattate dal centrodestra in questa battaglia parlamentare, hanno sottolineato che negare il permesso speciale a chi è già approdato in Italia, significa farli uscire dai Centri di accoglienza e renderli irregolari nelle strade delle nostre città. Come ha affermato Roberto Cataldi (M5s), l'inefficacia del decreto è dimostrata dal fatto che dal giorno in cui è entrato in vigore sono aumentati gli sbarchi, tanto da spingere il governo a proclamare lo stato di emergenza. Resta un'altra giornata per chiudere la partita, tra tensioni e diffidenze nella maggioranza.

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