I «delfini decaduti»
la collezione di Berlusconi

I «delfini decaduti» la collezione di Berlusconi
di Mario Ajello
Mercoledì 16 Novembre 2016, 14:38 - Ultimo agg. 17 Novembre, 06:57
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 Il penultimo delfino, Giovanni Toti, Silvio lo ha divorato perché troppo amico della Lega. L'ultimo delfino, Stefano Parisi, ieri Berlusconi lo ha anzitempo dimissionato perché lo considera troppo nemico della Lega. È la maledizione dell'erede designato: venire subito a noia al re di Arcore. Il quale sa di non essere eterno ma sa anche di essere irripetibile.

Dunque non c'è simil-Silvio inventato dal Silvio Crono, che possa durare granché. Parisi dal 1993 ad oggi, è stato il colpo di fulmine numero 30, a tenersi stretti, ed è andata come è andata. Non meglio e neppure peggio rispetto a Letizia Moratti, l'infatuazione berlusconiana del lontano 1996, durante la famosa «traversata nel deserto» dell'opposizione al governo Prodi, e poi la stessa sorte dell'altare e della polvere è toccata a Franco Frattini, Mauro Pili (do you remember? Il sardo bellino: «Piace alla signore ma mai quanto me», parola di Crono), Maurizio Scelli, Gianfranco «Che Fai Mi Cacci?» Fini, Pierferdinando Casini e via così: Roberto Formigoni, Corrado Passera, Mario Monti, Angelino «Ma Non Ha il Quid» Alfano, Gianpiero Samorì (addirittura), Guido Barilla (perfino lui), naturalmente Guido Bertolaso e ovviamente Raffaele Fitto, ma anche la tentazione Alfio Marchini.

Spesso il delfino decaduto diventa acerrimo nemico del designatore presto pentito ma non per tutti e non sempre vale questa regola. E comunque Berlusconi alcuni li indica come suoi successori in pectore addirittura come nuovi leader dei moderati (ma tanto dopo Silvio solo Silvio ci può essere secondo Silvio) e altri, più in piccolo, come leader del suo partito da illuminare con la sua luce. Che s'accende e si spegne con regale leggerezza, secondo i piaceri e le bizze del sovrano. Nell'estate del 2007 voleva affidare tutta la baracca a Michela Vittoria Brambilla, ora degradata a consigliera zoologico-animalista che comunque non è poco. E prima ancora di puntare su se stesso, nel 93, Berlusconi già aveva un delfino, o meglio un alter ego ovvero un sostituto («Ma è troppo molle») capace forse di impedire la dittatura bolscevico-occhettiana in Italia. Ma l'accordo con il prescelto, Mariotto Segni, non si chiuse e allora sua Emittenza scese in campo personalmente. Per due anni, dal 94 al 96, si stette calmo, poi cominciò a giocare pazzamente con le figurine. Letizia Moratti sarà «la nostra Lady Ferro». Stessa immagine, ma fuggevole, che più di recente è stata pensata per la primogenita del Cavaliere, Marina. E Paolo Del Debbio? L'ex filosofo, fondatore di Forza Italia e divo della pop-tivvù è delfino ricorrente, adoratissimo da Silvio. E in tempi di trumpismo potrebbe tornare in auge il suo nome. E comunque a lui non è mai toccato di dover diffondere tramite agenzie di stampa un comunicato come questo della Moratti, nel 2010, da sindachessa di Milano: «Non sono il delfino di Berlusconi. Il Cavaliere ha tanti delfini e tutti validissimi». E anche, spesso, somigliantissimi - almeno agli occhi del Re - tra di loro. Lui predilige i bellini, composti e gentili, piuttosto alti di statura, forse per supplire nel suo immaginario ai centimetri che gli mancano: Toti è così, e così anche Frattini, per non dire del Pili di cui si diceva. Pettinato e piacente, fisicamente slim, con però un difettuccio che gli è costato la carriera anche agli occhi del suo grande mentore. Nel discorso di insediamento da presidente sardo, recitò un discorso ricalcato pari pari da un testo che si riferiva originariamente alla Lombardia. E così, si scoprì che il fiume Ticino bagna la Barbagia e il Mincio scorre in Costa Smeralda. E Maurizio Scelli, che doveva sostituire tutti i «parrucconi» forzisti - eterno incubo del Presidentissimo - grazie alla sua esperienza alla Croce Rossa? Svanito in un attimo, e subito dopo la sua convention personale a Firenze disertata quasi anche da lui stesso.

Un elenco telefonico potrebbero riempire le mancate promesse messe in campo da Silvio. Alla lettera M ecco Monti: «Gli affido la guida del centrodestra moderato». A Luca di Montezemolo, Berlusconi provò a convincerlo nel 2012 a farsi delfino. Guido Martinetti, il mister Grom dei gelati, è stato cometa per qualche giorno. Fitto ancora mastica amaro. E non è il solo. Gli eredi designati di solito fanno una brutta fine. Fuori dal partito, nel migliore dei casi. Accusati di tradimento, come Alfano-Fini-Fitto, o dimenticati da tutti il più delle volte. Quando la cotta del Cavaliere finisce male, lui fa questo tipo di autocritica: «Il carisma uno ce l'ha o non ce l'ha». E il delfino spiaggiato ai suoi occhi naturalmente ne è privo. Dopo l'infatuazione sfumata: «Al momento - è il refrain di Silvio - non vedo nessuno a cui passare il testimone». Durante la cotta, invece, le parole sono altre. Di Alfano, il Cavaliere sottolineava le doti di «intelligenza, ma anche correttezza e lealtà», di Fitto arrivò a parlarne come di una propria «protesi». L'epilogo è uguale per tutti: nella seconda fase volano gli stracci. Lo scontro con Fini in diretta tv è entrato nella storia politica italiana. Con Fitto, un rimpallo di accuse in favore di telecamere, neanche fosse un reality show. «Berlusconi dice che io sarei fuori non si sa bene da cosa», disse l'ex governatore pugliese, ora leader di Conservatori e riformisti: «Io gli rispondo: sei tu fuori dalla realtà. Fuori dalla rivoluzione liberale. Fuori dalle speranze del 1994».

A Toti, quando era in auge, gli amici dicevano: «Ma sei sicuro che domani Silvio, che ti ha appena dato il quid, non te lo toglie?». La stessa cosa - quanto duri? Sei sicuro di durare? Non è che adesso Silvio s'infatua di un altro o di un'altra? - gli amici hanno ripetuto in questi mesi a Parisi. Anche se lui sembrava finalmente il delfino giusto. Ma niente. Buttato giù da Silvio per paura che Salvini buttasse giù le giunte di centrodestra. A cominciare da quella di Venezia. Ed è lì che Berlusconi pare che abbia individuato un possibile nuovo pupillo (e non sarà l'ultimo) anche se li divide la scelta referendaria: l'ottimo sindaco Luigi Brugnaro. Il quale starà toccando ferro.