Della Cananea: «L'avevo detto,
incerto l'asse Salvini-Di Maio»

Della Cananea: «L'avevo detto, incerto l'asse Salvini-Di Maio»
di Generoso Picone
Domenica 11 Agosto 2019, 12:11 - Ultimo agg. 18:09
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Viene anche troppo facile affermare che era già tutto previsto. Ricordare, cioè, quanto aveva sottolineato Giacinto della Cananea al termine della valutazione di compatibilità dei programmi di M5s, Pd e Lega per individuare con metodo le convergenze possibili. «Vi sono divergenze che derivano da diverse, se non opposte, concezioni della vita associata e di ordine morale», rilevò in merito alla compatibilità tra M5s e Lega il professore di Diritto amministrativo all'Università di Tor Vergata a Roma, allievo del costituzionalista Sabino Cassese, chiamato da Luigi Di Maio a presiedere il comitato scientifico per l'esame dei documenti.

Della Cananea, dunque aveva ragione?
«C'è una premessa che credo sia utile fare. Occorre distinguere tra il lavoro svolto con alcuni colleghi che puntava a indicare un metodo per arrivare a un accordo di coalizione in vista della formazione di un nuovo governo, così come configurato dagli ordinamenti democratici, e i contenuti del cosiddetto contratto che poi è stato stipulato da due delle tre forze politiche di cui avevamo esaminato i programmi. Si tratta di due ambiti d'intervento separati in un procedimento che già in altri Paesi europei aveva avuto esperienze simili».

Dove?
«In Inghilterra, dove dopo le elezioni del 2010 nessuna forza politica ottenne la maggioranza sufficiente per governare e si andò a un accordo tra conservatori e liberaldemocratici. E in Germania, con la Grosse Koalition tra Cdu-Csu e Spd».

Lei dopo il voto del 4 marzo 2018 valutò affinità e convergenze anche con il programma del Pd. Che cosa ne venne?
«Che le convergenze tra i tre programmi c'erano, assolutamente. Una minima tra quelli del Pd e della Lega, uno spazio significativo tra le piattaforme di Pd e M5S, convergenze minori ma pur rilevanti tra M5S e Lega.

 

«Vi sono divergenze che derivano da diverse, se non opposte, concezioni della vita associata e di ordine morale» fu la sua inappellabile certificazione riguardo l'accordo M5S-Lega.

«Faccio l'esempio della castrazione chimica prevista come pena per alcuni reati: un tipo di provvedimento che va oltre le misure dell'ordinamento democratico costituzionale. I programmi elettorali in Italia acquistano un senso quando camminano sulle spalle dei politici. Tra i rappresentanti del M5s e del Pd un anno fa l'affinità era decisamente limitata».
Oggi, un anno dopo, nei rapporti tra M5S e Pd è tornata in auge la parola inciucio.
«Sì, ma con una accentuazione negativa che non condivido».
Perché il cosiddetto inciucio è visto come il male assoluto? «Le urne del 4 marzo 2018 hanno espresso tre forze politiche di minoranza e la necessità di formare un governo è in ogni caso prioritaria: vengono prima i cittadini e dopo le promesse elettorali e se possibile è sempre utile trovare convergenze per amministrare il Paese».
A voler ricercare un precedente anche in Italia di larghe intese si potrebbe recuperare l'esperimento della solidarietà nazionale e del compromesso storico con Aldo Moro ed Enrico Berlinguer.
«In Italia, da Cavour in poi, si sono sempre registrati accordi tra forze politiche di segno diverso e il ricorso a governi di coalizione ha rappresentato una costante. Ma le forze politiche, pur su poli distanti, avevano elementi condivisi significativi».
Quali?
«Il riconoscimento di alcuni valori di base. Penso alle affermazioni di Berlinguer sul Patto atlantico che posero Pci e Dc su un terreno comune».
Oggi questo riconoscimento non c'è più?
«Oggi questi valori di base hanno subìto una flessione. Certo, allora c'erano state anche esperienze di governo locale che avevano fatto maturare un profilo di responsabilità amministrativa».
Non sarà anche per un deficit di cultura politica delle attuali forze?
«Possibile. Vero è che in passato pure nella polemica politica più vivace nessuno metteva in discussione scelte fondanti, come quelle atlantica, europea e del ruolo del Parlamento, che ora non sembrerebbero condivise da tutti».
Insomma, le forze politiche discutono poco e si confrontano di meno nelle sedi istituzionali, quasi preferiscano lo scontro e la battaglia attraverso la rete e social. Segno dei tempi?
«Senza attribuire un giudizio negativo alle nuove forme di comunicazione politica, è indiscutibile che succeda questo. Ma mi preoccupa soprattutto la scarsa considerazione che si ha per il Parlamento. La nostra resta una democrazia parlamentare da rendere più efficiente».
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