LE DUE ITALIE DELLA DELEGA E DELLA PIAZZA

di Alessandro Barbano e Massimo Adinolfi
Martedì 7 Giugno 2016, 07:17
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Caro Direttore,non voglio cedere alla tentazione di riepilogare il voto di domenica in una sola battuta: chiedo a te se sia possibile. A me pare che dentro ci siano molte cose, e non tutte convergenti. C'è sicuramente la difficoltà di metà mandato in cui immancabilmente i governi incappano: questo 2016 è un'occasione troppo ghiotta per non mandare un segnale a Renzi, e il premier rischia di dover giocare una partita molto difficile anche in ottobre, col referendum costituzionale.

Poi c'è la diversa capacità delle forze politiche di presentare uomini (o donne) e proposte politiche credibili e nettamente profilate. Ovunque è salito il tono delle polemiche interne, infatti, lì gli elettori hanno dato un giudizio ben negativo. In ultimo, c'è una strutturale debolezza dei partiti, che si manifesta palesemente nei surrogati civici ai quali è spesso costretta a ricorrere. Ciò detto, Torino, dove il Pd governava, è diversa da Napoli, dove il Pd era ed è abbondantemente sotto la linea di galleggiamento. Roma, dove la consiliatura Marino era finita in modo traumatico, è diversa da Milano, dove centrosinistra e centrodestra hanno storie e classe dirigente nuove e attendibili. E così via: abbiamo denominatori comuni a cui ricondurre tutte queste diverse esperienze?

Caro Professore,a me pare che il voto dei Comuni racconti un Paese in cui molte cose stanno cambiando e non tutte sono visibili con chiarezza. Nella sua fibrillazione permanente e nella sua capacità di essere tra mille contraddizioni laboratorio di futuro, la democrazia italiana ha prodotto qualcosa che nasce come una sua malattia e diventa una sua proiezione sfalsata, un piano obliquo che la interseca e che la sfida come alternativa. È quello che fin qui abbiamo chiamato populismo, ma che inizia ad essere un'altra forma della democrazia. Questa scissione la vedi nelle diverse performance delle forze politiche nelle città. C'è Milano, dove il bipolarismo tiene a bada le cosiddette forze «anti», perché sviluppa una circolarità virtuosa con la società e con l'economia, in uno scambio di energie che ha consentito la sostituzione di una leadership politica con una tecnocratica in modo quasi naturale. Perché la politica intermedia correttamente i processi sociali più significativi e la società infiltra la politica con le sue energie migliori.

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