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GIUSEPPE CONTE

Draghi, al voto di fiducia l’incognita sono i grillini: il premier scrive due discorsi

Draghi, al voto di fiducia l incognita sono i grillini: il premier scrive due discorsi
Draghi, al voto di fiducia l’incognita sono i grillini: il premier scrive due discorsi
di Francesco Malfetano
Articolo riservato agli abbonati
Mercoledì 20 Luglio 2022, 07:00 - Ultimo agg. : 09:30
5 Minuti di Lettura

Mancano solo poche ore al discorso di Mario Draghi al Senato eppure ciò che filtra da palazzo Chigi è ancora una sostanziale indecisione sul da farsi. Le opzioni sul tavolo, e anche le versioni del discorso preparate per la replica prevista alle 16.30, sono due. La prima prevede una conferma delle dimissioni del premier. Scenario per cui ieri ha anche ricevuto dal Quirinale indicazioni sulla prassi da seguire. Al contrario la seconda, in linea con il pressing degli ultimi giorni e le speranze dello stesso Draghi, vede la richiesta di un nuovo voto di fiducia su una risoluzione, con tanto di road map sul da farsi per legge di bilancio, Pnrr, inflazione e crisi energetica.

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Almeno per il momento nessun’altra alternativa è considerata davvero praticabile. Al mattino, invece, nel discorso di apertura delle 9, il premier non si scosterà troppo da quanto già spiegato nei giorni scorsi. Per cui da un lato dirà che non può più accettare ultimatum da nessuno (leghisti compresi). E dall’altro che già tanto è stato fatto da questo esecutivo, anche grazie al Movimento, ma c’è un’agenda di governo da seguire. Agenda che però in più punti è sovrapponibile con le 9 richieste avanzate dai grillini. Un ulteriore segnale in pratica, che non è ancora chiaro se verrà colto o meno dai pentastellati. 

Tant’è che, si ragiona a palazzo Chigi, il M5S è considerato «l’unica incognita reale». Se è vero che c’è un dialogo costante con i ministri pentastellati e per interposta persona di Enrico Letta (che ieri è stato ricevuto da Draghi proprio in questa ottica, dopo aver sentito Giuseppe Conte) non c’è invece stata un’interlocuzione diretta con il leader del Movimento. In serata si rincorre qualche voce su una telefonata tra il premier e l’avvocato, ma non viene confermata. 

 

La difficoltà di Draghi del resto è proprio decriptarne i segnali. La linea di Conte è infatti «intermittente». Così se al mattino sembrava prevalere il “sì” alla fiducia, nel pomeriggio già non era più così. Una strategia che, peraltro, secondo qualcuno sarebbe stata pensata appositamente dal leader per stanare oggi il centrodestra. Un voto favorevole del M5S infatti, stando alle dichiarazioni al vetriolo degli ultimi giorni, costringerebbe Lega e Forza Italia a prendersi la responsabilità della crisi. A guardarli da Palazzo Chigi però, ancora oggi i grillini appaiono solo inaffidabili. Al punto da spingere il premier a prendere sul serio in considerazione una loro uscita “parziale” dall’esecutivo. «L’ho trovato in ottima forma e determinato sulle cose da fare» ha spiegato non a caso ai suoi Letta. Ma anche la «diaspora» dei governisti grillini a seguito del capogruppo Davide Crippa - secondo i rumors “accompagnata” proprio verso i gruppi del Pd - pur essendo considerata potenzialmente risolutiva non ha ancora assunto la consistenza sperata. 

Video

Così, per decidere quale dei due fogli sfoderare nella replica del pomeriggio, Draghi sarà costretto ad aspettare l’ultimo minuto. La sola certezza è che il premier oggi ascolterà «con interesse» le risposte dei senatori. Anzi avrebbe preferito poter ascoltare anche i deputati. Tant’è che la scelta di «rendere pleonastico il passaggio a Montecitorio» è stata presa dai partiti. In ogni caso nelle loro parole Draghi cercherà quel «segnale» che a palazzo Chigi ancora ieri proprio non scorgevano tra le mosse delle forze politiche. «La sensazione - si ragiona - è che sia tutto fermo a giovedì scorso». Cioè che nonostante il fitto lavorio dei partiti e le pressioni sviluppate dalla società civile e dalle istituzioni internazionali, la maggioranza sia «ancora un po’ divisa». 

E infatti non si guarda di buon occhio al tentativo di «alzare il nervosismo» operato ieri dal centrodestra dopo il faccia a faccia tra Draghi e Letta. Palazzo Chigi, precisano, aveva fatto trapelare la propria disponibilità ad incontrare tutti, compresi Antonio Tajani e Matteo Salvini. La scelta di far passare per gran parte della giornata un messaggio diverso non è il segnale di apertura che il premier avrebbe voluto ricevere ieri in vista di un’ipotetica conferma del mandato. Forza Italia e Lega però raccontano tutt’altra storia, sottolineando finanche come degli emissari del premier avrebbero ammesso «l’errore» compiuto nell’incontrare solo il Pd, ma quel vertice era utile proprio per lavorare ai fianchi del M5S. Acredini che in serata paiono essere state superate quando Draghi ha telefonato a Villa Grande dove Silvio Berlusconi aveva riunito tutti. Un messaggio distensivo che ha consentito di ottenere poi la visita a palazzo Chigi di Tajani e Salvini con Lorenzo Cesa e Maurizio Lupi. Irritazione a parte, per i vertici dell’esecutivo l’incontro è andato «bene», confermando l’idea iniziale che né Lega né FI abbiano reale intenzione di rompere. Anche perché le fughe in avanti di Salvini già ieri pomeriggio sono state frenate dai governatori leghisti.

© RIPRODUZIONE RISERVATA
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