Non è certo un caso che a Cernobbio, tra una chiacchierata, un intervento sul palco e un caffé, sia tornato d’attualità il dossier del Quirinale. Dietro al fumo delle artiglierie di una guerriglia sempre più violenta tra gli alleati di governo a causa della campagna elettorale per il voto del 3-4 ottobre nelle città, i leader di partito già studiano e trattano in segreto sulla Grande Partita: il Colle appunto. E la strategia dei singoli appare improntata a indirizzare il proprio destino, piuttosto che a una scelta ponderata del nuovo capo dello Stato. Il caso più eclatante è quello di Matteo Salvini. Il leader della Lega viene descritto «scisso». «Da una parte Matteo vuole andare alle elezioni perché teme di finire soppiantato da Fedriga o da Zaia», dice un leghista dell’ala governista, «dall’altra però teme il voto anticipato per evitare il sorpasso della Meloni accreditato da tutti i sondaggi...».
Già, perché lo schema appare consolidato. Se Mario Draghi fosse eletto capo dello Stato, evaporerebbe il “governo di tutti” e si voterebbe nelle prossima primavera. Se invece intendesse restare a palazzo Chigi, si andrebbe alle urne alla scadenza naturale della legislatura. Nella primavera del 2023. Così ecco Salvini sganciare a Cernobbio, al Forum Ambrosetti, dichiarazioni che vanno in senso opposto. Da una parte il segretario leghista candida, come fa a giorni alterni, Draghi per avere la strada delle elezioni spianata: «Se si dovesse candidare lo appoggeremo». Dall’altra non esclude invece di sostenere Silvio Berlusconi, forse anche per una questione di rapporti e di garbo, nella corsa al Colle: «Penso che avrebbe tutti i titoli per fare il Presidente».
Chi invece non ha dubbi sul destino dell’ex presidente della Bce è Enrico Letta. Il segretario del Pd non perde occasione per dire che Draghi dovrà restare a palazzo Chigi. Concetto ripetuto sulle rive del lago di Como: «Per noi la priorità è che questo governo duri, deve fare le cose fino alla fine della legislatura». Per poi spiegare: «Siamo in una fase di ricostruzione straordinaria e unica del Paese. E noi abbiamo un premier che ha un’autorevolezza straordinaria in Europa». Ergo, Draghi a palazzo Chigi for ever. Tanto più che il capo del Pd non ha alcuna voglia di andare alle elezioni.
Così, vista l’incertezza, Conte a Cernobbio glissa: «La corsa per i Quirinale? Ci sono ancora tante variabili. Se iniziamo adesso a invilupparci in un dibattito sfibrante rischiamo di distrarci dalla priorità di riavviare il Paese, metterlo in sicurezza, centrare gli obiettivi del Pnrr». Chi invece vuole le elezioni senza se e senza ma, forte dei sondaggi che danno Fratelli d’Italia primo partito, è Giorgia Meloni. Che, sempre a Cernobbio, per questa ragione si mantiene prudente su Draghi: «Non so ancora se lo voteremmo come presidente della Repubblica». E dice ciò che gli altri non dicono: «Sicuramente a favore di Draghi c’è il fatto che è ragionevole ritenere che se andasse al Quirinale sarebbe più facile arrivare alle elezioni anticipate». In realtà la vera questione sarà capire cosa vorrà fare il capo dello governo. Perché anche se Draghi ritiene «offensivo» pensare al Quirinale come una via di fuga da una maggioranza litigiosa, è altrettanto vero che se ci volesse puntare avrebbe ottime chance. La sicurezza, in questa partita, non ce l’ha nessuno. Tanto più che, indicazioni dei leader a parte, a decidere saranno i peones. A scrutinio segreto.