Dramma Mezzogiorno, un giovane su due non ha più un lavoro

Dramma Mezzogiorno, un giovane su due non ha più un lavoro
di Nando Santonastaso
Giovedì 18 Luglio 2019, 07:00 - Ultimo agg. 12:46
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Se continua così, dice Stefan Pan, vicepresidente di Confindustria e alla guida del Comitato delle Regioni, ci vorranno altri tre anni per tornare ai valori di crescita del 2007. È la fotografia più reale della frenata del Mezzogiorno certificata con la consueta serietà di metodo, qualità di analisi e puntualità degli aggiornamenti statistici dal Check up estivo sullo stato del Sud curato da Srm e dall'Area politiche regionali di Confindustria con la collaborazione dell'Istat. La velocità della crescita si è di fatto fermata nel 2019 dopo avere già rallentato parecchio nella seconda metà del 2018.
 
L'export, che pure rappresenta la voce più attiva tra quelle che concorrono allo sviluppo dell'area, ha registrato nei primi mesi dell'anno un inatteso stop (colpa soprattutto della flessione dell'esportazione di idrocarburi che rischia di annullare il +14,9% degli arrivi di turisti stranieri); e per la prima volta dopo anni il numero delle imprese non cresce più. «L'emergenza lavoro per i giovani si legge nel rapporto coordinato da Massimo Sabatini di Confindustria e Massimo Deandreis di Srm non accenna a ridursi sebbene solo circa un quarto delle domande di Reddito di cittadinanza presentate (157mila solo in Campania, ndr) facciano riferimento a persone di età inferiore a 40 anni».

«Il Mezzogiorno non è in recessione», si affretta a precisare Deandreis ma la sostanza cambia poco. Perché di fronte alla stasi dei consumi, alle rinnovate difficoltà di accesso al credito per famiglie e imprese e soprattutto al perdurante, inaccettabile calo degli investimenti pubblici (la spesa in conto capitale pro capite del Nord è di quasi 500 euro più elevata del Mezzogiorno), è difficile non cedere alla rassegnazione. Anche perché l'exploit più significativo, quello dell'industria cresciuta in un anno del 7,4%, deve fare i conti con la realtà: e cioè che la manifattura made in Sud rappresenta solo il 10% del totale nazionale. Se a questo scenario si aggiungono i dati sull'occupazione, la frenata appare ancora più evidente: i disoccupati sono circa un milione e mezzo ma molti di più sono gli inattivi e anche nel 2018 un giovane meridionale su due non aveva un lavoro. Non è un caso che il tasso di occupazione del Mezzogiorno non superi il 43,4% mentre quello di attività si fermi al 54% contro il 63% della media nazionale.

La frenata ha cause ormai note: la carenza delle infrastrutture, ad esempio. Stefan Pan dice che tra l'Ile de France e la Campania, la regione più performante del Sud, ci sono almeno 70 punti di differenza quanto a dotazioni infrastrutturali. E sono differenze che pesano in attesa che lo Sblocca cantieri rilanci le opere su cui il Sud può finalmente scommettere, come il rifacimento della statale Jonica o la costruzione degli assi viari siciliani attesi da anni. Ma ci sono anche nuove opportunità da cogliere, a dimostrazione come dice Deandreis che è per primo il Nord ad avere convenienza ad investire nel Sud. Le Zes in primo piano, e con esse tutto il comparto dell'economia marittima del quale l'Italia sembra ancora non accorgersi appieno mentre i suoi concorrenti nel Mediterraneo viaggiano con il vento in poppa da tempo. Ma dallo studio Srm-Confindustria emerge anche una certa, interessante vitalità della bioeconomia, a partire dall'energia e dalle biotecnologie.

«È la centralità dell'impresa che va rilanciata perché può diventare la rivoluzione di cui il Sud ha bisogno», dice il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia. Che indica nei giovani, nelle infrastrutture e nel taglio del cuneo fiscale le priorità sulle quali anche il governo è chiamato a concentrarsi. «Se sblocchiamo le risorse del fondo sviluppo coesione per il Sud garantiamo la ripresa dello sviluppo dell'intero Paese. Perché la questione sociale e la crescita non appartengono a stagioni diverse». Ma su un punto il numero uno di viale dell'Astronomia lancia la sfida all'esecutivo: i tempi. «Fissiamo un cronoprogramma in base al quale si possano accertare le responsabilità di chi non spende le risorse e si possa sostituirlo da una cabina di regia».
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