Elezioni 2022, il voto è sempre più mobile: si sposta il 20 per cento

Elezioni 2022, il voto è sempre più mobile: si sposta il 20 per cento
di Gianni Molinari
Domenica 25 Settembre 2022, 08:00 - Ultimo agg. 26 Settembre, 05:00
4 Minuti di Lettura

La crisi della politica si è manifestata, negli ultimi anni, con fenomeni quasi sconosciuti nel nostro Paese: l'aumento delle persone che scelgono di non votare e l'incostanza degli elettori cioè, come spiega il politologo belga David Van Reybrouck in un brillante saggio («Contro le elezioni, perché votare non è più democratico», Feltrinelli, 2015) siamo nel regno «dell'elettorato fluttuante».

Nelle ultime elezioni politiche, quelle del 2018, ha votato il 72,94 per cento degli elettori 33,9 milioni di italiani su 46,5 milioni che avevano il diritto di partecipare alla competizione elettorale.

L'Italia - dopo la Svizzera (45,12% di votanti nel 2019)) e Regno Unito (67,3%) che, tuttavia, hanno particolarità non comparabili - ha la più alta percentuale di astensionismo! A dispetto della vulgata che vedrebbe il bel Paese tra quelli con più interesse al voto. 

Alle ultime presidenziali francesi ha votato il 73,69%, alle politiche tedesche del 2019 il 76,6%, a quelle belghe il 90%, alle olandesi l'81,9%, alle svedesi della settimana scorsa l'84,21. Con l'Italia tutti hanno però in comune la tendenza: l'aumento costante dei «non votanti». 

Ma l'Italia è quella più avanti: alle prime elezioni politiche del 1948, alle urne si recò il 92,23% degli elettori e a quelle successive del 1953, quelle passate alla storia per la cosiddetta legge truffa c'è stato il record repubblicano: il 93,84%. Gli italiani hanno mantenuto l'interesse al voto fino a metà anni 90, ma nelle politiche del 1996 in un colpo solo i votanti sono crollati del 3,4% che sommato alle piccole ma costanti erosioni da fine anni 70, portarono a un crollo del dieci per cento rispetto al 1948.

E così è continuato con un altro «colpo» nel 2013 con un brusco -5,3% per chiudere nel 2018 a uno stacco di quasi 20 punti rispetto al 1948, ma anche di otto al più vicino 2008!

Quindi il primo dieci per cento di votanti si è perso in 58 anni, il secondo dieci per cento in 12 anni! 

Video

Vediamo la seconda caratteristica. «Quelli che vanno ancora a votare - spiega Van Reybrouck - riconoscono forse ancora la legittimità della procedura, ma mostrano sempre meno fedeltà a un solo partito. Le organizzazioni politiche ammesse a rappresentarli contano su un sostegno molto provvisorio del loro elettorato. I politologi parlano in questo contesto di volatilità elettorale e notano che dagli anni novanta essa si è considerevolmente amplificata: spostamenti di oltre il dieci, il 20 o anche il 30 per cento dei voti non sono rari».

In Italia il fenomeno della «volatilità elettorale» si è appalesato per la prima volta con un valore importante tra le politiche del 2013 e le Europee del 2014: in un solo anno il Pd passò dal 25,4 al 40,8 per cento per poi flettere nelle successive Politiche del 2018 al 18,7.

Quel venti per cento - che si riteneva essere attratto alle Europee del 2014 dal provvedimento dei cosiddetti 80 euro di Renzi - alle Politiche del 2018: svanì dal Pd (per la precisione -22,06%) e si divise equamente tra M5S (da 21,1 delle Europee 2017 al 32,7 delle Politiche 2018) e Lega (da 6,1 a 17,35).

Di nuovo alle Europee, ma questa volta del 2019, in larga parte dai CinqueStelle (-15,6) si è poi trasferito alla Lega (+17) e in minima parte al Pd (+4) e a Fdi (+2). 

 

Veniamo a oggi. Usando i dati dei sondaggi (e riferendosi alla media delle rilevazioni degli ultimi dieci giorni precedenti al 9 settembre, data ultima consentita per la pubblicazione di nuovi sondaggi) il «venti per cento mobile» dovrebbe nuovamente spostarsi, questa volta nel basket di Fratelli d'Italia, provenendo in gran parte dal «venti per cento» della Lega alle Europee.

Questo «quintile» di votanti alla fine decide chi arriva primo nella competizione elettorale e, in alcuni casi, anche la coalizione che vince.

Cosa rende il voto così volatile? Affidandoci alle valutazioni di Van Reybrouck che sono più ricche perché formate con uno sguardo su più Stati, il principale motivo sono le aspettative elevate che gli elettori ripongono nei programmi delle forze politiche: aspettative che crollano di fronte al tempo necessario per concretizzare le promesse. Non basta una legislatura e al voto successivo si cambia cavallo. 

© RIPRODUZIONE RISERVATA