Elezioni, addio silenzio elettorale: sui social il divieto viene ignorato

Elezioni, addio silenzio elettorale: sui social il divieto viene ignorato
di Valentino Di Giacomo
Domenica 3 Ottobre 2021, 23:44 - Ultimo agg. 4 Ottobre, 20:32
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Meloni pubblica un lungo video di 7 minuti per difendersi dalle accuse lanciate contro Fdi sui fondi neri e razzismo, Berlusconi va al seggio e rilascia dichiarazioni ai giornalisti auspicando la creazione di un nuovo Pdl, l’M5s fa propaganda social e grida ai complotti sull’incendio di Roma. C’era una volta il silenzio elettorale. La pausa dai comizi sarebbe scattata alla mezzanotte di venerdì scorso, il condizionale è d’obbligo. Quasi tutti hanno parlato in un tambureggiamento che non conosce sosta. 

In Calabria sono arrivate persino le prime denunce tra candidati. Molto più tranquilla la campagna elettorale partenopea con tutti i candidati in silenzio e con il solo Catello Maresca che si è lasciato “scappare” due post su Facebook solo per ricordare in un video il suo incontro con Diego Armando Maradona e una foto per segnalare quando ha vinto il Leone d’Oro a Venezia per il suo impegno anticamorra.

Account fermi per Manfredi, Bassolino e Clemente. Altra musica altrove: se il jingle della Rai un tempo era “Di tutto di più”, lo slogan andrebbe riproposto con forse più successo a questa campagna elettorale e al profluvio di tweet e post pubblicati sui social network. 

Sarà pure antica la norma che prescrive il silenzio elettorale, ma nessuno la rispetta a pieno. Ad imporre il tempo di riflessione per gli elettori è una legge del 1956, poi modificata nel 1975. Erano i tempi dei comizi di piazza e della sola tv pubblica a regolare la comunicazione politica con tanto di ammenda stabilita in lire. «Chiunque contravviene è punito con la reclusione fino ad un anno e con la multa da lire 50.000 a lire 500.000». Col nuovo conio, al massimo della pena, costerebbe più o meno 250 euro la violazione, ma la legge non contempla internet e i social network che nel 1975 neppure erano pensabili. In occasione delle ultime elezioni europee l’Agcom ha predisposto solo delle linee guida relative alle piattaforme digitali, come Facebook o Google, con le quali sono stati assunti degli accordi sulla parità di informazione. Solo semplici linee guida.

Ecco quindi possibile che tutti possano fare propaganda, anche con accuse incrociate di leader che violando il silenzio (Conte) accusano gli altri capi di partito (Meloni) di trasgredire alla norma. Perché, in fondo, funziona così: un po’ tutti infrangono la regola, ma tutti criticano gli altri di violarla. A Torino è andato ad esempio in scena un altro classico delle campagne elettorali: i grillini che accusano altri grillini. Protagonista indiscussa la candidata a sindaco M5s, Valentina Sganga. Nei gruppi social frequentati dagli attivisti M5s del territorio, Sganga è stata accusata di aver fatto propaganda attraverso messaggi inviati dal suo account privato. «Stanotte alle 0.50 - ha attaccato un membro degli attivisti M5s, Vito Dicorato - mi è arrivato un messaggio tramite Facebook della candidata sindaca con indicazioni di voto». L’accusa è che Sganga avrebbe inviato persino i santini, ma lei sostiene si trattasse solo di messaggi privati, che comunque la legge vieta. 

Video

Non si è fatta mancare nulla neppure la Lega che, dai propri canali social, ha continuato la campagna elettorale a testa bassa. Dal momento che non è vietato ecco quindi pubblicato ieri un bel collage video di Salvini con l’indicazione «Oggi vai a votare e scegli Lega». Da anni l’habituè della violazione del silenzio è probabilmente Silvio Berlusconi, per lui ieri classica passerella per andare al seggio e l’auspicio al capannello di cronisti di «un buon risultato per quello che riguarda i voti alle liste dei partiti». In Calabria si è arrivati persino alle denunce, il candidato del centrosinistra a Cosenza, Franz Caruso, ha segnalato un post pubblicato dallo sfidante Carlo Tansi in cui denunciava che due esponenti del Pd sostenevano un candidato del centrodestra. Poi entrambi hanno cancellato i rispettivi post. Tra i grandi partiti solo il Pd ha rispettato il silenzio sul proprio account. Renzi, invece, ha continuato a pubblicare video delle presentazioni del suo libro. Non è vietato sui social, ma allora che s

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